Una triangolazione blogghettara. Luca Massaro che insegue Luigi Castaldi sull’idea del divino. Io aggiungo modestamente un appunto a fine post: forse un appunto che ha poco a che fare con i loro discorsi ma che nella mia mente creava un quadro coerente.
Malvino scrive:
“Nel fondo della sua filosofia di vita, il chierico continua a far fatica ad ammettere che debba dar conto al laico del danno che ha procurato al laico, ma pensa che, regolata la faccenda con Dio, il più è fatto. Diciamo che non ammette penitenza laica, se non come forma degradata della Penitenza.
Nel reato commesso da un chierico, Dio è chiamato a triangolare, cosa che risulta utile al chierico, perché ministro di Dio. È tutto un altro modo di accettare il giudizio, e però il solito, quello cui il chierico è convinto di aver diritto.” Malvino
Luca completa così:
“Perché Dio è solo un postulato sul quale ogni Chiesa (in ispecie la Cattolica) fonda l’esercizio del suo Potere temporale. Se si vuol far sopravvivere un’idea decente del divino, ho come l’impressione che occorra praticare una sorta di rivoluzione non euclidea della teologia. Rifarsi ancora alle tavole dei comandamenti può andare bene nelle pratiche di vita tribale. Certo, non molto è cambiato il comportamento umano da allora. Ma una cosa fondamentale è cambiata: credere nell’onnipotenza divina significa affermare, lo si voglia o meno, la correità di Dio al male del mondo. E ogni Chiesa che si fonda su un Dio onnipotente è una chiesa complice di tale “eventuale” Dio che lascia che il male si compia. L’eventuale (e altamente improbabile) meccanismo di premi & punizioni ultraterrene, che i chierici del mondo impartiscono per conto del Grande Postulato, si confermano per ciò che sono: una gigantesca impostura immanente perpetrata sempre in spregio al dolore, alle lacrime, al sacrificio delle vittime.” Luca Massaro
Forse il tentativo più efficace di descrivere il divino fu fatto da Epicuro nel 300 a.C. Epicuro risolve il tutto ponendo gli dèi negli spazi vuoti tra i mondi, gli intermundia. Gli dèi sicuramente esistono, hanno forma e temperamento umani, ma non si curano degli uomini. Anzi gli dèi non hanno alcuna esperienza degli esseri umani come è palese dall’esperienza di tutti i giorni: la nostra giornata infatti, anche quella del credente, incomincia in modo ateo (alpha privativo, theos=dio), continua in modo ateo e finisce in modo ateo. Solo quando si avvicinano le tenebre e il sonno della ragione avanza come la risacca, ecco, sì! appaiono in tutto il loro splendore e terrore! Eccoli: li vediamo nella felicità e nella tristezza, nella nascita e nella morte, nel piacere e nel dolore, nel bisogno e nella solitudine. Splendidi con corone d’oro e abiti di seta o terribili con occhi di fuoco forieri di vendetta. Antropomorfi o zoomorfi o in forma di spirito o immanenti nella dura e fredda Terra. Ma, ahimé, al di là delle nostre notti insonni, rimangono solo immagini, imagines deorum, che muoiono con noi. Estinto un popolo, morte le sue divinità. Siamo solo ricettori, antenne che ricevono dagli intermundia immagini sbiadite e confuse. Gli dèi, questo è certo, non intervengono nel nostro mondo sin dalla creazione, se creazione c’è stata.
“La divinità o vuol togliere i mali o non può, oppure può e non vuole o anche non vuole né può o infine vuole e può. Se vuole e non può, è impotente; se può e non vuole, è invidiosa; se non vuole e non può, è invidiosa e impotente; se vuole e può, donde viene l’esistenza dei mali e perché non li toglie?” Epicuro.
Questo frammento vale più di mille bibbie, corani e veda. Spazza in un sol colpo tutta la teodicea delle religioni abramitiche. E’ tutto lì, e solo i ciechi non riescono a vederlo. L’approccio epicureo è tranquillizzante, ansiolitico. Un menefreghismo cosmico simil-lovecraftiano che mette l’anima in pace al saggio, ma non al chierico.
“Solo i ciechi non riescono a vederlo”
Quel che più irrita è la pretesa, di codesti fautori del nulla, di poter argomentare con pari dignità nei confronti di scienziati, ricercatori, medici, fisici, ingegneri, matematici e che in virtù di quello che rappresentano sia dovuto loro rispetto e sottomissione.
Già lo dissi da Ivo, in un acceso battibecco polemico con uno di loro: è come se mi vestissi con una palandrana gialla a pallini blu, tricorno a sonagli sulla testa, imbuto sull’inguine, scatole di cartone in luogo delle scarpe e poi chiedessi sorpreso: “Perché ridete di me?”.
P.S. Scusa, nella foga quasi mi dimenticavo: molto bello il post.
Grazie del tuo preziosissimo appunto.
Me lo appunto al petto, fiero, come fosse una bandierina.
🙂
Grazie a tutti e due. 😀
In riferimento al tuo ultimo commento da me (ero in vacanza non ho potuto prima):
Niccolò Fabi ha annunciato la morte di sua figlia di due anni con un post su FaceBook.
Mi chiedevo quale fosse il limite, tutto qui.
Hasta!
PS fatti sentire.