Eccomi qua dopo un luuuuungo viaggio in Sud America -Argentina e Cile – ed ecco qua le mie impressioni su Buenos Aires, la prima città che ho visitato. Andare in giro per alcuni quartieri di Buenos Aires è un po’ come passeggiare per una città europea. L’architettura è italiana, spagnola, francese, a volte un po’ lusitana per certi particolari seminascosti, un giusto mix. In realtà pare più una città italiana tanti i nomi e le facce sono italiani. Qui si può trovare un po’ di tutto: dalla casalinga di Voghera al commenda di Milano, dal barbiere siciliano al tassista romano, dal commerciante genovese all’imprenditore veneto. La sensazione di passeggiare a Buenos Aires è alquanto strana. Il cervello ti dice che sei in Sud America, un posto esotico agli antipodi, ma è come trovarsi a casa. Quelle facce le conosci, quegli sguardi, quei gesti con le mani, il legame fenotipico che sottintende quello genetico. Stessa razza, stesso paese, una sensazione di appartenenza “razziale” indescrivibile, una sensazione che si può provare solo in un paese fatto di italiani ma non in Italia.
Ma che ci fa un’edicola (un’edicola italiana!) sotto ad un grattacielo in stile newyorkese? E quella FIAT Uno scassata affianco ad una Chrysler tutta nuova? E quel piccolo negozio di alimentari ad un boulevard sudamericano?
A volte le americhe si mischiano con l’Italia in un’amalgama che non ti aspetti. Come se qualcuno avesse preso pezzi d’Italia –mi immagino una storia alternativa in cui l’Italia fascista ha vinto la guerra e ha colonizzato una terra nell’emisfero australe portando tutto ciò che di italico esiste; oppure l’Italia fascista ha perso la guerra ma gli ultimi fascisti vanno in esilio e rifondano il loro paese in Sud America (ucronie da sviluppare) -e li avesse mischiati, a volte male a volte bene, con l’essenza delle americhe. Una colonia italiana nell’emisfero australe.
Ma non è solo uno shock spaziale, la combinazione di due emisferi terrestri che dovrebbero essere appunto agli antipodi. E’ anche un’interferenza temporale, come quando i vecchi televisori a tubi catodici riuscivano a sovrapporre le immagini e i suoni di due canali diversi. Ma qui non basta un colpo al lato del televisore o una raddrizzata d’antenna a cambiare la sensazione aliena che provo. Dentro a FIAT Uno degli anni 90 ci sono guidatori che maneggiano l’iPhone 4, nella bottega gira una cassetta nel mangianastri mentre un ragazzo si ascolta l’ultima canzone sul suo iPod, nella metro uscita da un documentario sull’URSS pre-caduta muro di Berlino le persone vestono come nella Londra del 2012. Qualcosa non va, manca omogeneità, manca un filo logico, manca un continuum spazio-temporale che il mio cervello possa accettare. Qui in Argentina il tempo si è fermato per alcuni anni per poi riprendere il suo corso e ora cerca di riagganciarsi con difficoltà al mondo odierno. Un hipo, un hiccup, un singhiozzo temporale che lascia sbigottiti. La crisi argentina anche se passata è ancora dentro il tessuto di Buenos Aires e si respira in queste incongruenze temporali.
Non ho molto da dire di “turistico”, mi spiace. I viaggi li vivo in questo modo e quando torno a casa (quale?) ho più domande che risposte. Ma non sono le domande quelle che mi spingono a viaggiare?
p.s.
Potete leggere altri commenti politici ed economici che ho scritto pure qua.
Tutti i paesi dove gli italiani hanno lasciato una grande impronta culturale mi attirano, l’Argentina è uno di questi.