C’era una volta un tempo in cui per contrastare la maniacale dicotomia del bianco contro nero, della concezione delle razze pure e incontaminate, la sinistra esaltava il meticcio. Non esistono razze, dicevano, e essere meticci è bello ed è progressista. Cosa c’è di più progressista e antirazzista infatti se non il valorizzare la diversità e la mescolanza di un individuo che ha tratti (e spesso culture) che vengono da due mondi diversi? Essere figlio di due genitori geneticamente distanti è il massimo che un individuo possa richiedere geneticamente e culturalmente. Dal punto di vista biologico aumenta le possibilità che si abbia un organismo più forte e resistente alle malattie grazie alla mescolanza dei geni, esteticamente si crea un individuo dai tratti misti e quindi unici e piacevoli, dal punto di vista della battaglia contro il razzismo è la vittoria contro l’ideologia delle razze pure. Mi ricordo che c’era anche un tempo in cui era considerato positivo che persone provenienti da diversi background utilizzassero usi e costumi di altre culture. Il famoso melting pot tanto decantato negli anni 80 e 90.
Tutto è cambiato purtroppo quando la sinistra ha incominciato a disprezzare una razza (sappiamo di quale parlo) e a valorizzare le altre portando alle estreme conseguenze quello che era nel DNA della destra razzista, ovvero il vanto per la propria razza (a parte quella bianca ovviamente). Ci si vanta di essere neri, asiatici o ispanici tanto che si disprezzano quelli che di pura razza non sono, ovvero i meticci. E quando ci sono i meticci (50% di una razza ed 50% di un’altra) ci si rifiuta di considerarli tali e li si etichetta come solo neri/asiatici. Fu la volta di Barack Obama, meticcio di padre nero e madre bianca. Fu deciso che Obama fosse nero quando, se la matematica non è una opinione, non dovrebbe essere né l’uno né l’altro oppure tutti e due contemporaneamente. Potrebbe essere stato arbitrariamente etichettato come bianco ma si decise di considerarlo nero per questioni politiche. Non ci sarebbe stato niente di male a considerarlo “mixed race” ma si volle forzare la mano per difendere i diritti degli afroamericani. E posso anche capirlo dal punto di vista politico. Ma mi è veramente difficile comprendere come un’altra (bellissima) meticcia come la futura sposa del Principe Harry, Meghan Markle, possa essere considerata nera. Lei dice con orgoglio di essere di mixed race ma la sinistra se ne appropria e la chiama black woman o woman of colour strumentalizzandola per dire come la società britannica si dovrà confrontare col proprio razzismo con una principessa nera per la prima volta a Buckingham Palace. Mi spiace rovinarvi tutto cari progressisti ma Meghan non è nera e neppure bianca ed è orgogliosamente di sangue misto.
Tutto questo va di pari passo con la battaglia di retroguardia (sempre presa dalla destra razzista) di sinistra della appropriazione culturale. Dovete sapere che in USA, in Europa deve ancora arrivare, la sinistra sta facendo una guerra culturale contro quella che chiamano “appropriazione culturale”. Significa che un individuo di una razza non può vestirsi, atteggiarsi, parlare, cucinare come quello di un’altra razza. Pardon, i caucasici non possono, gli altri si. Ti vesti da messicano per carnevale? Ti stai appropriando di una cultura altra. Cucini arabo ma sei bianco? Ti stai appropriando di una cultura altra. Alla faccia dell’internazionalismo della sinistra di un tempo. Multiculturalismo significa ora camere stagne in cui le razze non si incontrano o mischiano più. Melting pot tanto odiato dalla destra razzista ora odiato pure dalla sinistra progressista antirazzista
Non vi ricorda gli Stati Uniti schiavisti o l’apartheid sudafricana quando era vietato usare i costumi della razza di non appartenenza?
E’ triste ammetterlo ma oggi nel 2017 i più grandi razzisti sono proprio quelli di sinistra che si dichiarano antirazzisti. Ridateci i figli dei fiori per piacere.
I “figli dei fiori” sono la radice della “sinistra liberal” di oggi. Ti stai dimenticando che in quegli anni ci furono le “battaglie per i diritti civili”, King e Malcom X, le Pantere Nere, il Vietnam, Castro e il Che, eccetera eccetera.
La differenza è che l’Unione Sovietica che allora era il Paradiso del Popolo oggi è come la Germania degli anni Trenta, con le sfilate di soldati biondi e le ragazze che gli lanciano i fiori.
Quindi tutta la “cattiveria” che al tempo dei “figli dei fiori” si buttava nella “rivoluzione”, nella “lotta armata” per strappare i mezzi di produzione alla Borghesia, oggi si butta nel “meticciato”.
Sono d’accordo sulla conclusione del tuo post, cioè sull’assurdità della lotta contro ‘l’appropriazione culturale’, però manca un tassello al puzzle che descrivi.
C’è un motivo per cui negli Stati Uniti Barack Obama è stato considerato il primo presidente nero degli Stati Uniti, e non il 44° presidente bianco: il principio della ‘drop of blood’ per cui negli Stati Uniti schiavisti e post-schiavisti bastava un antenato afro-americano per venire classificati come ‘negro’ (intendo la parola inglese, plurale ‘negroes’, non l’insulto razzista). Per dire, in Brasile esistono svariati termini per indicare le commistioni possibili di sangue europeo, africano e amerindio: Obama e Meghan Markle sarebbero ‘pardos’, non ‘pretos’. Da una parte, quindi, hai ragione nel dire che gli antirazzisti sono razzisti perché con il rivendicare la ‘nerezza’ di persone che lo sono solo per metà o un quarto si comportano come i legislatori dell’Alabama degli anni ’20*, dall’altra uno può osservare che in un paese che si dichiara ‘colour blind’ come il Brasile (che non ha mai avuto miscegenation laws) alla fine i neri sono pochissimo rappresentati nella politica e nello spettacolo e non hanno organizzazioni identitarie che ne difendano le rivendicazioni.
Alla fine è il grande dilemma dell’identitarismo. Tutte le comunità minoritarie per sopravvivere devono essere un po’ razziste. Ti faccio un esempio a me vicino, quello degli sloveni della provincia di Trieste e Gorizia: la loro tendenza all’endogamia (un figlio misto rischia di andare in una scuola in cui non si insegna lo sloveno) e la chiusura alla cultura italiana è se non giustificata quanto meno comprensibile.
Nel complesso, credo che tu abbia ragione e che l’identitarismo statunitense stia diventando sempre più retrogrado e reazionario. Si è arrivati all’assurdità per cui attori afro-americani come Samuel L. Jackson si lamentano perché attori del Regno Unito di origine africana (come John Boyega di Star Wars o soprattutto Daniel Kaaluya di Get Out, geniale horror/commedia sul razzismo) spopolano a Hollywood e, a detta di Jackson, non possono identificarsi in personaggi che hanno subito il razzismo della società americana. Mentre forse è proprio la relativa mancanza di identitarismo degli inglesi di origine nigeriana o caraibica a permettere loro di avere successo al cinema con una gamma attoriale più ampia (Kaaluya ad esempio recita anche con perfetto accento americano).
Penso che dobbiamo riscoprire il meticciato, e ad esempio come società preoccuparsi più di difendere, che so, le coppie interreligiose minacciate dai membri delle loro comunità che non le istanze retrograde delle comunità in questione. Però bisogna ammettere la complessità della questione e il fatto che la supposta ‘color blindness’ può essere un’ipocrita mascheramento del razzismo istituzionale.
* una parodia di questo atteggiamento in questo video: https://www.youtube.com/watch?v=VVR3B01NxiM
La sinistra di oggi è una sinistra post-moderna, il cui disprezzo per il meticciato si basa sulla post-modernissima Critical Race Theory, in pratica la versione neo-marxista delle teorie del complotto ebraico di estrema destra, ma con gli WASP al posto degli ebrei. Per la Critical Race Theory TUTTO riguarda la razza, e SOLO la razza, e l’obiettivo non è un mondo in cui la razza non conti più, ma un mondo in cui le differenti identità razziali siano il cardine e il perno di ogni azione politica e sociale, perché i bianchi anglosassoni complottano in mille modi per opprimere tutte le altre razze, e ogni singola cosa che succede è un complotto segreto dei Bianchi (i fan della Critical Race Theory arrivano a spiegare le gang afroamericane dei Blood e Crips non come un effetto di fenomeni sociologici come povertà o marginalizzazione/strutture familiari e sociali in crisi, ma come un complotto segreto dei bianchi ricchi per fare in modo che i neri, evidentemente bambini privi di ogni responsabilità personale, si uccidano a vicenda) modello Protocollo dei Savi di Sion.
@Kirbmarc posso essere d’accordo sulle assurdità del marxismo culturale americano (che poi, IMHO, potrebbero essere stemperate da un po’ di sano marxismo economico) con rispettive derive complottiste ma il fatto che (ad esempio) le politiche sull’edilizia popolare e la guerra alla droga siano state intrise (spesso anche esplicitamente) di razzismo istituzionale non è una tega da radical chic o da accademici che hanno perso il contatto con la realtà.
La società americana che esce dalla Guerra Civile è una società nella cui ideologia (utilizzo il termine, scusate, in senso marxiano) la razza, codificata da leggi precise e non da generici pregiudizi, ha un ruolo centrale. Ad esempio nell’identità di classe del lavoratore o del sottoproletario bianco, per cui la presenza di una categoria di persone di status razziale inferiore era fondamentale all’autorealizzazione esistenziale. La razza è stata centrale negli shift politici della seconda metà del secolo scorso, che hanno totalmente sconvolto la mappa elettorale (il Sud ha abbandonato il partito democratico perché non più razzista). In questo senso la color blindness è la nuova bestia nera della sinistra americana: perché dire ‘per me non c’è differenza tra bianchi e neri’, in una società che è stata plasmata dal razzismo, è incredibilmente naive o in malafede.
Poi un altro discorso è che l’atteggiamento identitario peggiori anziché migliorare la segregazione, e abbia contribuito ad essa (le race riots di fine anni ’60 sono state particolarmente autolesioniste, ad esempio). Ma la questione è complessa.
Food for thought: http://www.tabletmag.com/jewish-news-and-politics/250053/is-it-ok-to-be-white
“The underlying premise is plain: that there is no whiteness independent of the domination of nonwhites, and no masculinity independent of the domination of women. Neither ever were, or ever can be, neutral descriptors of traits incidental to the person whom they characterize. They are instead forms of identity rooted in genocide, colonialism, and slavery that reproduce the violent conditions of their emergence everywhere they are treated as neutral descriptors of traits incidental to the person whom they characterize. They are what both permits and compels the white man to, as Bady puts it, “take his own experience as normal and privileged, and to presume all others to be debased copies of his own primary existence.” A feminist writer at Public Books recently urged her readers to “attack masculinity directly. I don’t mean that we should recuperate masculinity—that is, press men to identify with a kinder, gentler version of it—I mean that we should reject the idea that men have a psychic need to distinguish themselves from women in order to feel good about themselves.” She later coined a neat apothegm that brings to completion certain latent tendencies in contemporary feminism: “The problem is not toxic masculinity; it’s that masculinity is toxic.”