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Quello che non vi hanno mai insegnato al corso d’inglese: le parole inglesi in italiano che non esistono in inglese

Ed eccoci di nuovo ad una nuova puntata della rubrica Quello che non vi hanno mai insegnato al corso d’inglese. Per le altre puntate vedere qui lista completa. Ogni lingua incorpora parole straniere nel proprio vocabolario ed è naturale che sia cosi’. Di forestierismi anglofoni la lingua italiana abbonda ma non tutti esistono nella lingua inglese oppure per altri il significato è cambiato talmente tanto da non essere più comprensibile ad un madre lingua inglese. Badate bene che questo non è un fenomeno solo della lingua italiana ma è universale. Basti pensare a quante parole italiane sono state inventate/distorte nei paesi anglosassoni. Detto questo delle 6 professoresse d’inglese che ho avuto nei vari cicli scolastici non me ne ricordo neanche una che mi abbia fatto notare queste parole. E non credo di essere l’unico perché quasi tutti gli italiani che ho conosciuto all’estero pensano che le seguenti parole siano inglesi e/o dal significato corretto. Ma vediamo quali sono:

footing: gli italiani quando corrono per il parco pensano di fare footing. Ditelo ad un madre lingua inglese e vi guarderà un po’ sconcertato. Sarà che footing può essere usato per indicare il feticismo dei piedi e quindi associato a qualche perversione sessuale. Sta di fatto che quando uno corre fa jogging non footing. Errore che pure i cugini d’oltralpe e iberici fanno comunemente.

box macchina: a meno che non abbiate una macchinina giocattolo non vi consiglierei di mettere la vostra auto in un box. Box auto/macchina è una parola usata solo in italiano per indicare un garage spesso prefabbricato. In inglese non esiste, o meglio esiste e vuol dire scatola. Meglio garage.

flipper: se cercate flipper su Google trovate solo immagini di delfini. Del resto flipper non esiste in inglese, ma il gioco classico da bar si dice pinball. Le asticelle di metallo che si muovono si chiamano flipper.

playback: quante volte lo sentiamo playback in TV o alla radio. In italiano significa quando un cantante fa finta di cantare dal vivo quando invece la voce è già preregistrata. Questa pratica è in realtà definita lip-sync, letteralmente sincronizzazione delle labbra. Su wikipedia esiste una voce per Playback singer specificatamente usata per indicare gli attori indiani di Bollywood che fanno lip-sync nei musical. Abbiamo qualcosa in comune con gli indiani.

slip: non parlate di slip nei paesi anglosassoni, qualcuno potrebbe pensare che utilizziate le sottovesti femminili (a meno che non intendiate proprio quelle). Infatti per slip non si intende le mutande ma proprio le sottovesti che si usano per dormire. Come questo termine sia stato applicato alle mutande per me è un mistero. Generazioni e generazioni di utilizzatrici di “salvaslip” e la parola neanche esiste. Le mutande si dicono underwear or pants a seconda che siate americani o britannici. Spesso certi “slip” femminili vengono chiamati knichers.

sexy shop: forse per un motto di puritanesimo passeggero per evitare di usare la parola sesso o per chissà quale altro motivo i negozi che vendono giochi erotici in Italia si chiamano sexy shop. Ditelo ad un madre lingua inglese e si metterà a ridere. Giustamente. Sexy significa sensuale infatti e mi pare che non ci sia niente di sensuale in un negozio! In realtà nel resto del mondo si chiamano sex shop, letteralmente negozio del sesso.

stage: questa parola spunta come un fungo ogni volta che si parla di corsi, di lavoro interinale, ragazzi ai primi passi nel mondo del lavoro ecc. Stage in italiano si dovrebbe pronunciare alla francese perché e da li’ che viene, estage. E comunque si potrebbe utilizzare l’equivalente italiano tirocinio per non sbagliare. Stage pronunciato all’inglese, steig, vuol dire palco, fase, tappa ecc.

beauty-case: nonostante beauty-case sia comune anche in altre lingue (anche se spesso col significato di borsa trucchi e cosmetici) in inglese si dice vanity case o toiletry bag.

autostop: stesso caso con autostop presente in molte lingue continentali europee ma che in inglese si dice hitchhiking. (grazie a zoppaz per il suggerimento nei commenti).

Lascio questo post aperto ai consigli. Se conoscete altre parole finte-inglesi come quelle sopra scrivetelo nei commenti e le aggiungerò alla lista.

 

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Le tre menzogne su cui si basa il Regno Unito

Ogni paese si costruisce una serie di miti e leggende per poter definirsi tale. Questi miti (oggi le chiamerebbero post-truth) servono a tenere coeso il paese soprattutto nei momenti di difficoltà. Serve anche per dare al cittadino quel senso di superiorità rispetto agli altri popoli per poter andare avanti ogni mattina e mentire a se stessi con il solito mantra tribale: si nasce sempre nel posto migliore, con la lingua più bella, il cibo più buono ecc. Il Regno Unito non fa eccezione e credo di aver individuato i tre più grandi miti che reggono il paese. Se questi miti venissero sfatati o discussi il Regno Unito crollerebbe su se stesso. Ciò ovviamente è impossibile perché queste sono bufale ataviche, imparate cioè fin dall’infanzia, come nell’imprinting di Konradiana memoria.

  1. In UK non c’è spazio! Questa menzogna viene ripetuta da mattina a sera da tutti: casalinghe, politici, studenti, commercianti, praticamente chiunque e serve a giustificare l’estrema penuria di spazio vitale nella vita quotidiana del britannico. Le case sono piccole? È perché non c’è spazio! Non ci sono abbastanza case? È perché non c’è spazio! Le strade e i parcheggi sono piccoli? È perché viviamo in un’isola! Perfino i garage sono minuscoli e vengono usati come sgabuzzini con l’auto che sta fuori. Le case più piccole d’Europa. Vivere in UK pare di vivere nella contea degli hobbit. Case microscopiche, stanze dimezzate, soffitti bassissimi, strade strette, spazi per parcheggi ristretti. Perfino le porzioni di cibo sono più piccole di un terzo rispetto al continente, sembra di vivere in continuo razionamento da guerra mondiale. Ti dicono che il motivo è che vivono in un’isola. Magari era così nell’800 caro John Smith, ma oggi siamo nel 2017. Basta prendere l’Eurostar e in mezz’ora ti trovi in Francia dove le porzioni sono un terzo più grandi, si compra al chilo e non ad unità e la qualità è migliore. “Ma è un altro paese!” Veramente non esistono dazi e frontiere e la distanza tra UK e Calais è minore di quella tra Londra e Bristol per dire. Non venitemi quindi a parlare di distanze quindi. I pomodori e le arance spagnole ci mettono più tempo e carburante ad arrivare a Berlino che a Londra. Ma a Londra vengono rivenduti al doppio. Essere in un’isola non significa nulla. Faccio notare ai miei colleghi che UK e Italia sono quasi identiche per chilometri quadrati e per densità di popolazione con il 35% di montagne in Italia contro appena il 16% di UK. Non sanno che dire. Pensavano di vivere in un’isola minuscola dove tutto è razionato, perfino lo spazio. “Eh, ma le nostre zone urbane sono molto vaste…” Ma veramente solo il 6% del territorio è zona urbana. Questa bufala collettiva condiziona il modo di pensare del britannico a 360 gradi. I comuni danno pochissimi permessi per costruire sul proprio territorio e così i prezzi delle case salgono. Le politiche sull’immigrazione sono pesantemente condizionate, basti pensare alle stupidaggini dette durante Brexit sul fatto che non ci fosse spazio in UK perché era un’isola. E ovviamente tutti ci lucrano. È questo il vero motivo per cui i prezzi in UK sono alti. La bufala collettiva condiziona le politiche e di conseguenza, con divieti e regolamentazioni, il mercato.at-11ft-x-5-5ft-this-flat-008
  2. L’NHS è l’invidia del mondo! Quando durante la cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Londra 2012 decine di infermiere con lettini da ospedale sono entrate nello stadio miliardi di telespettatori di tutto il mondo sono rimasti stupiti. Cosa c’entrano le infermiere con le olimpiadi? Divertente vedere i commentatori britannici inorgogliti per il valore simbolico di quella performance mentre gli ospiti stranieri in studio avevano un grande punto interrogativo sulla fronte. Infatti alle Olimpiadi si è voluto fare un tributo al servizio sanitario nazionale (NHS appunto) il quale è il vanto della nazione. I britannici pensano che l’NHS sia il sistema migliore al mondo, che sia l’unico a dare completa cura gratuita ai propri cittadini e che decine di migliaia di persone da tutto il mondo attraversino gli oceani per accedervi. Pensano che tutto il mondo lo conosca e che tutti cerchino di copiarlo. Anche questo mito duro a sfatare ha il suo ruolo nelle politiche sull’immigrazione. Cavallo di battaglia della Brexit fu appunto quello per cui i soldi destinati all’UE sarebbero potuti essere usati invece per l’NHS. Inoltre le lunghe file dal dottore erano date dal fatto che c’erano troppi immigrati. Quindi tutti i problemi del sistema sanitario nazionale derivavano dall’UE e dagli stranieri. In realtà il sistema britannico è nella media europea ma ci sono altre nazioni migliori per efficienza. Secondo quest’altra classifica l’NHS si posiziona perfino 16esima in Europa per performance a detta dei suoi stessi “clienti”. article-2180177-143fe08d000005dc-838_634x423
  3. Abbiamo sconfitto i nazisti! I britannici sono sinceramente convinti che Churchill abbia sconfitto Hitler. Qualcuno si azzarda perfino a dire che senza i britannici a quest’ora l’Europa sarebbe nazifascista. Non c’è dubbio che le forze britanniche abbiano contribuito a sconfiggere i nazifascisti, ma da qui a dire che hanno sconfitto i nazisti ce ne vuole. Il nazifascismo è stato sconfitto principalmente da USA e URSS. Punto. Al costo di milioni di soldati alleati tra l’altro. In un sondaggio di Yougov nella maggior parte dei paesi il contributo che viene dato al Regno è dato al terzo posto, dopo USA e URSS appunto, ma per gli stessi britannici non c’è dubbio: la Gran Bretagna ha dato il colpo mortale a Hitler. Il 50% dei britannici è convinto che la Gran Bretagna sia stato il paese che ha contribuito di più alla sconfitta del nazismo. Significa che questa convinzione è entrata nella psiche nazionale tanto da poterla definire come propaganda di stato.

picture1Una nazione non è fatta solo di tre miti, certo, ma questi tre elencati qui sopra sicuramente contribuiscono alla maggior parte della mentalita’ collettiva britannica e contribuiscono enormemente a molte delle scelte che i governi fanno. Inclusa la Brexit.

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Quello che non vi hanno mai insegnato al corso d’inglese: (ancora altri) 10 errori più comuni degli italiani

L’inglese è una lingua per metodici, per librai, per catalogatori. Ogni azione ha un verbo preciso che non può essere usato in altri contesti, ogni oggetto ha un nome preciso nonostante esistano termini generici (generic or umbrella terms) per descriverli lo stesso. (Gli inglesi si arrabbiano come ricci se chiami ciabatta o baguette semplicemente pane. Ti dicono: “E’ una ciabatta.”). L’abbiamo visto con gli errori tipici degli italiani delle precedenti puntate, che spesso altro non sono che “mancanze” della lingua italiana rispetto all’inglese, e lo vediamo anche oggi con i seguenti casi.

1) Brush-wash: gli anglosassoni non si lavano i denti, se li spazzolano. Il motivo è che non ti stai lavando solo i denti ma li stai più precisamente spazzolando usando lo spazzolino. E’ una precisazione importante. Dire “I’m going to wash my teeth” risulterà nell’ilarità generale, tipo che stai lavando il bucato o ti stai andando a lavare l’auto o qualcosa del genere.

2) Wedding-marriage: la confusione tra wedding (la cerimonia del matrimonio) e marriage (il matrimonio) deriva dal fatto che in italiano usiamo la stessa parola per indicare due cose diverse. Il giorno del matrimonio è il wedding day, non il marriage day. La cosa può diventare ancora più confusa quando si usano i verbi to wed e to marry. I wed her e I married her hanno significati simili ma non esattamente identici. To wed si usa quando si sposa qualcuno ma solo al momento della cerimonia, invece to marry ha lo stesso significato che ha sposare in italiano anche se ci si riferisce al giorno del matrimonio. Ma non finisce qui perché perfino il verbo to marry ha delle sottili differenze… temporali. Se dico I marry o I get married significa che ci si sta riferendo ad una data nel tempo precisa, ovvero quella del matrimonio. Mentre se si usa to be married significa che ci si sta riferendo allo stato maritale (sono sposato e non single) oppure al fatto che si è sposati con qualcuno in particolare (to someone meglio che with someone).

3) Close-lock: quante volte ho detto “I closed the door” e mi sono sentito rispondere “OK, but did you lock it?”. All’inizio non comprendevo perché insistessero così tanto su questa precisazione. Se l’ho chiusa l’ho chiusa no? Invece poi mi sono reso conto che il problema come sempre era nell’utilizzo dello stesso verbo in italiano per indicare due azioni diverse. In italiano chiudiamo le porte ma usiamo lo stesso verbo per indicare anche la chiusura del lucchetto. Per gli anglosassoni sono due azioni diverse, giustamente. Una è quella di portare la porta fino alla sua posizione di chiusura (to close), l’altra di serrare con la chiave (to lock). Questo vale per tutti gli oggetti che hanno meccanismi di chiusura come le auto: I locked the car, non I closed the car.

4) Remember-remind: “Remember me to…” e lì grasse risate. “Yes, yes I will remember you forever!”. Io intendevo dire: “Ricordami che devo fare X.” Invece avrei dovuto utilizzare “Remind me of…” perché come tutti gli esempi che abbiamo visto finora in italiano usiamo il verbo ricordare sia per ricordarci di una cosa nella nostra mente sia per chiedere a qualcuno di ricordarci di qualcosa. L’eccezione riguarda la memoria di noi dopo morti (come nella risposta simpatica della mia amica all’inizio di questo paragrafo): “remember me when I die”. Oppure quando vogliamo ricordare a noi stessi di ricordarci qualcosa: “I have to remind myself about X.” ma in questo caso è come se il proprio Io si sdoppiasse e si avessero due persone nella propria testa. Questo è particolarmente difficile per gli italiani anche perché remember and remind sono simili anche foneticamente. Come possiamo “ricordarci” di questo errore? Semplice, dite questa frase che mi sono inventato quando ho scoperto della differenza: “Remember this sentence: I have to remind myself that remember and remind are different. (in realtà ho un metodo ancora piu geek: remind è un verbo fenotipicamente esteso, ma questa la capiscono in pochi).

5) Funny-fun: ancora non mi capacito come i miei insegnanti d’inglese non si siano mai premurati di insegnarmi la differenza tra fun e funny. Fun e funny non sono intercambiabili e hanno significati molto differenti. Una persona, tipo un comico, è funny ma non fun. La situazione però è fun, nel senso che ti stai divertendo ascoltando un comico funny (divertente). Per ricordamelo io la penso cosi: fun indica una situazione in cui io mi sto divertendo, funny quando c’è qualcuno che mi sta facendo divertire. L’eccezione è quando si usa l’espressione “X is a fun person” che significa “X è una persona con cui ci si diverte”.

6) Paint-decorate: gli anglosassoni per indicare il pitturare le pareti usano to decorate mentre per dipingere to paint. In italiano usiamo per errore to paint per indicare pitturare le pareti perchè si assomigliano ma in realtà è un false friend. A meno che non siate degli artisti “you decorate your house, not paint”. Ma qui viene il difficile: la tinta si chiama paint.

Errata corrige: sembrerebbe che su questo punto mi sia parzialmente sbagliato e me ne scuso. Pare che si possa usare anche to paint per tinteggiare le pareti, così dando uno sguardo a dizionari e forum online ma nella mia esperienza quotidiana la gente usa esclusivamente to decorate per tinteggiare le pareti della casa e anzi in un paio di occasioni sono stato corretto appunto perché usavo to paint. Forse è solo un regionalismo del Sud-Est. Per esempio in american english to decorate ha un significato più simile all’italiano decorare

7) Ah-Ha: nell’era dei messaggi istantanei come SMS o Whatsup questo non si può sbagliare. Ah in italiano indica risata ma anche una espressione di sorpresa. In inglese ah invece indica sorpresa ma non ilarità e anzi spesso indica espressione di piacere… anche sessuale. Al contrario se si vuole esprimere ilarità si deve usare Ha. Bonus: gli spagnoli scrivono ja-ja ed è facilissimo individuarli su internet.

8) Patronize-patrocinare: quando qualcuno dice che una persona “is patronizing” non significa che sta patrocinando un evento, tipo un mecenate, significa che sta trattando con condiscendenza qualcuno. E’ un termine molto negativo che gli inglesi usano moltissimo. Al contrario degli italiani gli inglesi odiano essere trattati con condiscendenza. In realtà si può usare to patronize per indicare il patrocinio di un evento ma è molto raro e nessuno vi capirebbe. Oggi si usa “to sponsor” o “to promote”.

9) Wheel-tyre: quando foriamo in macchina diciamo in italiano che abbiamo bucato una ruota. In realtà si tratta di pneumatico, non ruota. Gli inglesi ce lo ricordano con la seguente lezioncina: “I got a puncture in my tyre.” Non wheel, a meno che non abbiate la ruota fatta di pneumatico. Stessa cosa quando volete cambiare pneumatico dovete dire “I would like to change my tyre”.

10) Alarm off-on: questo è veramente difficile perche va contro qualsiasi logica ma deve essere imparato altrimenti si rischiano non solo figuracce ma perfino la vita. Allora quando un allarme suona, in italiano logicamente diciamo che si è acceso, in inglese invece dicono che si è spento. E viceversa. In casi di emergenza ricordatevi quindi che “the alarm goes/went off” e non il contrario. E quando qualcuno vi chiede di spegnerlo vi chiederanno “turn the alarm on”.

 

 

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Non chiamate vostro figlio Andrea… in UK

In un certo senso questo post si ricollega alla serie “Quello che non vi hanno mai insegnato al corso d’inglese”(*), perché se esiste una funzione del nostro caro corso d’inglese è quella di aiutarci non solo a comprendere un madrelingua ma anche a vivere in un paese dove vivono i madrelingua. E se il vostro insegnante d’inglese si fosse premurato di spiegarvi la differenza tra nomi propri tra le due culture (anglosassone e italiana) invece di farvi perdere giorni sugli esercizi dei libri d’inglese, scritti da inglesi, a quest’ora molti connazionali avrebbero risparmiato alcune figuracce nella loro vita. Ma buttiamoci immediatamente sull’anedottica spicciola. Un mio collega di nome Andrea quando si presentò nel suo futuro laboratorio di ricerca  destò non poca delusione. Tutti si aspettavano un’avvenente ricercatrice mediterranea. Andrea infatti è un nome maschile SOLO in italiano e albanese. In tutte le altre lingue è femminile. Stessa sorte per i poveri cristi che si chiamano Nicola. Ma passiamo al gruppo di nomi maschili italiani che finiscono con la E: Daniele, Gabriele, Michele, Simone, Emanuele. Sfortunatamente tutti questi nomi sono molto simili agli equivalenti femminili Danielle, Gabrielle, Michelle, Simone e Emanuelle e spesso in alcuni paesi anglosassoni sono scritti esattamente come in italiano. Avrete sicuramente notato che molti angloitaliani e italoamericani si fanno chiamare Dan, Danny, Mike ecc. Il motivo è semplice: hanno capito loro malgrado che avere un nome femminile a scuola non è consigliabile. Meglio usare nicknames e shortnames per non creare il risolino continuo dei proprio coetanei. Trattasi di scelta di necessità purtroppo.

Ecco, durante la mia carriera scolastica e universitaria ho avuto credo 9 insegnanti d’inglese e ce ne fosse stato uno che avesse detto “Bene ragazzi, oggi mettete da parte il libro degli esercizi così affrontiamo uno dei più grandi problemi che alcuni di voi affronteranno all’estero: come evitare che vi prendano per donne o che pensino che siate passati per Casablanca.” Quante sofferenze e figuracce molti connazionali si sarebbero risparmiati. But, hey, we need to finish Unit 4 for tomorrow.

*https://fabristol.wordpress.com/category/quello-che-non-vi-hanno-mai-insegnato-al-corso-dinglese/

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Quello che non vi hanno mai insegnato al corso d’inglese: la e silente e il Great vowel shift

Per le puntate precedenti vedere qui.

2aa621544c31e1a395cfdf4be633132e3aa4eac19cdf5b286b99ad18aa5e538d2117599683Ammettetelo: quante volte avete detto o avete sentito dire che la pronuncia dell’inglese è inconsistente e che non esistano regole? Quante volte vi siete fermati davanti ad una parola e vi siete chiesti: “Come si pronuncia la vocale a in questa parola?”? E’ possibile, come nel mio caso, che lo abbiate chiesto anche a chi avrebbe dovuto aiutarvi, ovvero ad un insegnante d’inglese a scuola. Ma sono sicuro che nel 90% dei casi la risposta sia stata “spallucce”. La pronuncia dell’inglese non ha regole e dovete imparare le parole una per una, questo è il luogo comune.

E invece no, e oggi vi dimostrerò che esiste un modo per saper pronunciare le vocali dell’inglese di alcuni gruppi di parole senza averle dovute imparare a memoria. E questo l’ho imparato con la pratica… visto che nessuno si era mai premurato di insegnarmelo. Sappiamo bene che per un madre lingua italiano la cosa più difficile è capire quando le vocali “i” e “a” si pronunciano “ai” o “i” e “ei” o “a”, rispettivamente. Prendiamo come esempio la parola “time”. Si legge “taim” e lo sappiamo per un motivo: ha una “e” alla fine. Se non ci fosse la “e” si leggerebbe “tim”. Quindi ricapitolando la presenza di una vocale alla fine della parola modifica la pronuncia della vocale precedente. Senza la vocale e si pronuncerebbe come in italiano.

Esempi di seguito:

time-tim

rime-rim

slime-slim

grime-grim

dime-dim

spine-spin

pine-pin

wine-win

Significa che, a parte le poche eccezioni, quando troverete una parola bisillabica come time che non conoscete potrete andare sul sicuro ed applicare questa regola.

Per quanto riguarda invece la vocale “a” il discorso è simile ma più complesso: blame si legge bleim e clam si legge clam, tutto grazie alla e finale. Ma il fonema “ei” può divenire anche “e” come in can.

dame-dam

came-cam

cane-can

lane-lan

lame-lamp

shame-shampoo

Stessa cosa vale per le vocali “u” e “o” che verranno pronunciate “a” o “iu” e “a” o “o” a seconda della presenza della “e” finale o che segue immediatamente l’ultima consonante.comic2-1291-897173545

plume-plum tube-tub funeral-fun come-com

La “e” alla fine di una parola inglese è una vocale magica. Non si pronuncia mai (infatti si chiama silente) ma può cambiare la pronuncia (e il significato) dell’intera parola.

La “e” alla fine delle parole inglesi è molto comune e non è stata messa lì a caso. C’è sempre una ragione dietro ad una consuetudine in una lingua e l’origine della e silente possiamo trovarla nel rivoluzionario periodo (linguisticamente parlando) tra il 15esimo e il 17esimo secolo dove quasi tutte le lingue di origine germaniche hanno subito il great vowel shift. Prima del 15esimo secolo infatti le vocali in inglese si pronunciavano più o meno come nelle lingue latine. Per motivi ancora misteriosi – qualcuno parla di influenze date dalla peste nera ma è indimostrabile – molte delle vocali hanno cambiato pronuncia, da una simil-latina a quella attuale. Ed è qui che entra in gioco la e silente che riesce a farci distinguere la pronuncia (e il significato) di una parola da un’altra. Il Great vowel shift però non fu omogeneo e alcune aree del Regno Unito continuano a pronunciare le vocali in un modo simile al nostro. Nord Inghilterra e Scozia per esempio continuano in molti casi a mantenere una pronuncia pre-great vowel shift.

Per ricordarvi della pronuncia delle vocali e dell’importanza della e silente in inglese magari potrete memorizzare questa filastrocca per bambini:

Who can turn a can into a cane?

Who can turn a pan into a pane?

It’s not too hard to see, it’s silent E!

 

 *in realta’ la cosa e’ piu’ complicata di quanto sembri perche’ di vocali l’inglese ne ha 12. Ma per semplificare il nostro corso abbiamo ignorato la maggior parte dei fonemi che gli italiani non possono pronunciare. Per un sommario piu’ completo dei cambiamenti dati dalla e silente vedere questa pagina.

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Quello che non vi hanno mai insegnato al corso d’inglese: (gli altri) 10 errori più comuni degli italiani

false-friendsVisto il grande successo del precedente post sui 10 errori più comuni degli italiani con l’inglese ho pensato di compilare una lista di altri 10 errori abbastanza comuni. Enjoy!

1) To miss/to lose (accezione 1): questo errore è così comune che faccio veramente fatica a capire perché non venga corretto dagli insegnanti d’inglese. Questo lo fate tutti fino a quando qualche madrelingua ve lo fa notare. Quante volte avete perso il treno, il bus o l’aereo e avete esclamato: “Oh no, I lost my train/flight/bus!”. E gli inglesi che vi guardano e vi chiedono con stupore: “You lost a… train? Was it yours? And where is it now?”. Mentre in italiano il verbo perdere ha il doppio significato di “perdere un oggetto” e “perdere un mezzo di locomozione” in inglese esistono due verbi ben distinti per indicare le due azioni. Il primo è to lose (I lost something) mentre il secondo è to miss (I missed the train). Ora questa cosa è così difficile da fare entrare in testa che perfino io che vivo qui in UK da dieci anni devo pensare qualche millisecondo prima di dire “I missed the train” (o forse è perché non perdo mai treni?). Mentre per altri errori ho inventato trucchi linguistici e associazioni di suoni che mi permettono di evitare gli errori più comuni per questo ho sempre serie difficoltà. Non sbaglio mai ma quando dico quella frase mi devo fermare per qualche millisecondo perché l’ho messa nel cassetto mentale delle frasi intraducibili con il bollino rosso. Da un po’ di tempo a questa parte cerco di pensarla così: mentre gli italiani perdono oggetti d’ogni tipo inclusi aerei e treni gli inglesi “mancano all’appuntamento con la partenza del mezzo”.

2) to miss/to lose (accezione 2): simile ma forse più insidioso l’utilizzo di to lose per indicare la perdita di una occasione. Proprio l’altro giorno leggevo una recensione su Amazon di una italiana che faceva più o meno così: “A book not to be lose”. Ora a parte che sarebbe dovuto essere “lost” ma quello che avrebbe dovuto scrivere sarebbe stato “a book not to be missed”. Il commento più sotto era “hilarious”: “How can you lose such a big book?”

3) Terrific/dramatic/tremendous: quando qualcuno vi descrive la propria vacanza come “terrific” e i paesaggi che ha visto come “dramatic” non pensate che sia state così terrificante né drammatica. Vi sta semplicemente dicendo che è stata magnifica, eccezionale e che i paesaggi erano sensazionali. “A tremendous experience” è stata un’esperienza positiva, anzi straordinaria. Devo dire che però qui è la lingua inglese che ha “messed up tremendously” con le radici romanze di queste parole.

4) foreigner/stranger: altra incredibile figuraccia del sottoscritto che per mesi nella mia prima esperienza all’estero in Svezia parlava di tutti gli immigrati come strangers quando invece erano foreigners. Devono avere pensato che fossi un po’ razzista o semplicemente pazzo. Come infatti potevo chiamare me stesso o i miei amici stranieri come “estranei”. “We strangers.”. Se solo al corso di inglese per prepararmi all’Erasmus qualcuno si fosse degnato di dirmi che io sarei stato un “foreigner in Sweden” e non un “estraneo in Svezia” forse mi sarei risparmiato un bel po’ di figuracce. Ma non avrei scritto il punto 4 e voi non l’avreste letto, quindi forse è meglio così.

5) sensitive/sensible: capisco che siate delle persone sensibili e che siate rimasti shockati nel sapere che gli inglesi parlino con i morti (sensitive). Infatti sensibile si dice sensitive. Mentre sensitivo si dice medium. Siate ragionevoli invece, usate emotional. Infatti sensible vuol dire “ragionevole”. Questa differenza mi è entrata così tanto in testa che ormai in italiano sbaglio sempre e dico “fammi un’offerta sensibile” e dico “è una persona sensitiva”.

6) factory/fabric/farm: è vero, esistono fattorie che sembrano delle fabbriche (poveri animali in batteria!) ma ciò non significa che in inglese factory abbia lo stesso significato che in italiano. Factory significa industria/fabbrica mentre fattoria è farm. Questi me li ricordo perché uno dei miei gruppi preferiti è Fear Factory (la fabbrica di paura) e Animal Farm è un libro distopico di Orwell che parla di una fattoria di animali “politicamente schierati”. Fabric d’altro canto vuol dire tessuto e questo me lo ricordo grazie a Doc di Ritorno al futuro: “the encounter could create a time paradox, the result of which could cause a chain reaction that would unravel the very fabric of the space-time continuum and destroy the entire universe!”. Ricordatevi quindi che quando andate dietro nel tempo e baciate vostra madre potreste “disfare il tessuto dello spazio tempo!”. (beside you are morally disgusting!)

7) pretendo/to pretend: come con miss/lose questo false friend è nel mio cassetto mentale con il bollino rosso e ho ancora difficoltà a trovare un’associazione mentale che mi permetta di evitarla. Ti pretendo cantava Raf negli anni 80 ma forse non intendeva dire che “faceva finta” di volere la sua amata. To pretend infatti significa “far finta di”, non pretendere. Non ho alcun problema ad usare to pretend in inglese per questo significato, il problema è quando cerco di dire “pretendere” in inglese. Per il quale si dovrebbe utilizzare “to expect” or “to demand”.

8) vacancy/estate: può capitare che qualcuno cerchi lavoro come giardiniere o custode (vacancy) per una proprietà/residenza (estate) ma è sicuramente più comune di chi invece pensa di aver prenotato una vacanza estiva in una agenzia immobiliare! Vacancy vuol dire letteralmente posto vacante e significa sia che c’è un posto di lavoro disponibile o una camera disponibile in un albergo. Estate, pronunciato “esteit” invece indica una proprietà, non l’estate!

9) fresh: “She is fresh, fresh, exciting” cantava il ritornello di una canzone anni 80 che ad un orecchio italiano fa sorridere. Una ragazza fresca? Magari si è appena buttata in piscina è la sua pelle bagnata ha una temperatura fresca? Mmm. Quando qualcosa è fresh significa il più delle volte “nuovo”. Per esempio una casa appena dipinta può essere fresh, un nuovo look di capelli può essere fresh (fresh look). Se invece volete andare a mangiare fuori al fresco, attenzione perché un inglese potrebbe capire che volete mangiare nella Cappella Sistina. Fresco significa affresco. Per l’acqua fresca o il vino fresco, non chiedete fresh water/fresh wine. Il cameriere potrebbe offendersi: è ovvio che non vi porterà acqua/vino andati a male! Utilizzate invece cool. Bonus: si dice still water non sweet water!

10) to watch/to see: tempo fa lessi un articolo molto divertente della BBC sui false friends degli immigrati (non solo italiani) a Londra. In uno dei tanti episodi una ragazza italiana era appena entrata in un negozio di abbigliamento (to browse o to have a look at) e quando la commessa le ha chiesto se avesse bisogno d’aiuto lei ha semplicemente detto “no, I’m just watching”. Al che la commessa ha chiamato la guardia di sicurezza del centro commerciale e la poveretta è stata arrestata per poche ore, giusto il tempo di spiegare l’equivoco. L’inglese distingue tra to watch che in questo caso avrebbe pouto significare “osservare”, nel senso di spiare qualcuno per controllare cosa fa, e to see o to have a look at. che significa appunto vedere, guardare. Big brother is watching you!! è la famosa frase dell’orwelliano 1984. Ecco, quando usate to watch ricordatevi di Orwell, a parte quando guardate la TV ovviamente: to watch the TV. Io distinguo tra i due semplicemente pensando ad un vedere attivo e un vedere passivo. You can see something in front of you or you can watch something in front of you. Un po’ come to listen e to hear. I can hear someone listening to the music. To hear è passivo, nel senso che si usa per sentire dei suoni senza essere molto attenti mentre “if you listen carefully” se ascolti bene… Il passaggio da to hear a to listen richiede attenzione da parte della persona.

P.S.

Kudos if you get the joke in the cartoon. 😉

 

 

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Quello che non vi hanno mai insegnato al corso d’inglese: i 10 errori più comuni degli italiani

Dopo quasi un decennio all’estero (ebbene sì questo settembre segnerà i 9 anni della mia permanenza all’estero) posso con sicurezza elencare i dieci più comuni errori che gli italiani fanno quando tentano di parlare l’inglese. Se siete appena arrivati su questo blog e non conoscete questa rubrica qui ci sono le altre puntate: https://fabristol.wordpress.com/category/quello-che-non-vi-hanno-mai-insegnato-al-corso-dinglese/

Enjoy!

1) Excuse me/sorry: se una persona cerca di attrarre l’attenzione di un’altra dicendo “Sorry!” state tranquilli che si tratta di un italiano. Giusto l’altro giorno in aereo una ragazza cercava di chiamare l’hostess urlando sorry, sorry, sorry ma è bastato l’aiuto di un inglese con un “excuse me lady, this girl would like to talk to you.” per farla girare. L’italiana era infuriata perché pensava che l’hostess la stesse ignorando ma in realtà quello che stava urlando era “mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace” verso una persona con cui non aveva avuto alcun contatto. Infatti excuse me si usa per attirare l’attenzione e chiedere permesso mentre sorry si usa principalmente per chiedere perdono, scusa. In italiano questa differenza è irrilevante perché usiamo il verbo scusare per indicare due azioni diverse. Per evitare di fare questo errore che agli italiani viene naturale pensate in questi termini: quando siete in strada e volete superare un gruppo di persone e dovete passare in mezzo dite “excuse me”, quando invece pestate un piede a qualcuno dite “sorry”. Excuse me viene prima di un contatto, sorry dopo che il contatto è avvenuto. Se pensate in questi termini sarà più facile ricordarsi della differenza.

2) Per anni ho risposto al telefono dicendo Hello I’m Fabrizio anche con persone che sento tutti i giorni. Un giorno un mio collega mi fa: “Fabrizio ogni volta che rispondi mi dici che ti chiami Fabrizio, ma lo so benissimo!”. Da quel giorno ho capito che esiste una grande, immensa differenza tra I’m X e it’s X al telefono! In italiano siamo abituati a dire Pronto sono X quindi istintivamente in inglese ci viene da dire I’m X. Ma in inglese significa letteralmente “Pronto mi chiamo X.”. Quello che si dovrebbe dire è Hello it’s X, che letteralmente significa Pronto è X che parla. Questa la definisco una ottima figura di m****, di quelle che ti rimarranno per tutta la vita. Ricordatevi le figure di m**** sono il pane quotidiano per un buon apprendimento: pane e m****, così s’impara l’inglese all’estero. Se non fate figuracce non state imparando.

3) Eventually: eventually non significa eventualmente. Mettiamocelo in testa. Eventually è un false friend e significa infine o alla fine (a volte può essere utilizzato in un contesto in cui si vorrebbe dire prima o poi). Eventualmente si dice in case o possibly. Non cadete nel tranello.

4) Before/earlier: altra figura di m**** memorabile in Svezia grazie ad un amico belga (che quel giorno ho odiato ma poi ho ringraziato). In italiano per indicare un avvenimento antecedente a qualcosa utilizziamo “prima”. Ma “prima” viene anche utilizzato per indicare un avvenimento avvenuto nel passato senza specificare “prima” di qualcosa. Nelle altre lingue e specialmente in inglese queste due differenti indicazioni di tempo sono espresse da due parole differenti: quando si vuole indicare un avvenimento antecedente a qualcos’altro si usa before, mentre per qualcosa che è avvenuto indipendentemente da un altro avvenimento earlier. In genere gli italiani usano before in qualsiasi situazione. “I did it before.” “Why didn’t you come before?” ecc. Tornando al mio amico belga un giorno mi chiede: “You italians always say that you do things before, but before what?” Ecco, per evitare di sbagliare fatevi sempre questa domanda: before what?

5) after/later: stesso problema del punto 4. Si dice “I’ll do it later” non “I’ll do it after” (a meno che non si voglia sottindere qualcosa da fare dopo qualche altra cosa). Di nuovo chiedetevi sempre come il mio amico belga: before what and after what?

6) do/make mistake: anche qui il problema risiede nell’italiano che usa lo stesso verbo per indicare più cose. L’inglese differenzia tra il verbo to do, compiere un’azione, e to make, produrre, costruire, fare qualcosa. In genere gli italiani privilegiano to do perché nella maggior parte delle volte è simile al nostro fare ma nel caso di “fare un errore” (è proprio il caso di dirlo!!) non si dice “i did a mistake”. Si dice “I made a mistake”. Gli inglesi non fanno errori, li creano.

7) hair/hairs: errore comunissimo è quello di indicare i capelli come numerabili in inglese. Gli inglesi non dicono “She has beautiful hairs”, ma “she has beautiful hair.”. Nel primo caso avete appena detto che lei ha dei bellissimi peli, quelli sì numerabili (specialmente in certe donne). E’ molto difficile mettersi in testa questa differenza ma io ho trovato un modo per ricordarmelo (no, non penso alla mia testa ormai prossima alla calvizie totale): pensate alla chioma in italiano e tutto torna. “Lei ha una bellissima chioma” si può tradurre facilmente con “She has beautiful hair”.

8) to take shower/photo: Dopo 7 mesi di full immersion di inglese (i miei primi 7 mesi all’estero) ero così entrato nella mentalità inglese che a Siena chiedo ad un gruppo di turisti “Potete prendere una foto di noi?”. Traduzione letterale di “can you take a photo of us?”. Ricordatevi che gli inglesi non “fanno” le foto (to do) ma le prendono (To take). Stessa cosa vale per la doccia che si “prende” non si “fa”. Esatto pure in inglese “to do a shower” o “to do a photo” significa fottersi una doccia o una foto. E non è bello dichiarare davanti a tutti “I need to do a shower!” (Ho bisogno di fottermi una doccia!”).

9) to be hot/cold: classico errore dell’italiano alle prime armi. In UK se si dice che si “ha freddo” (to have cold) significa che si ha un raffreddore e se si “ha caldo” (to have hot) la gente vi chiederà “You got hot what?” Significa che si ha qualcosa addosso di caldo: hot pants, hot trousers ecc. Gli inglesi “sono caldi/freddi” (to be hot/cold). Per farvelo entrare in testa pensate così: sono accaldato, sono ghiacciato e sarà più semplice tradurre I’m hot, I’m cold.

10) People: people è il plurale di person e come tale deve essere seguito da are non is. Questo è molto difficile da ricordare perché gli italiani traducono people con gente, che nonostante indichi una pluralità in italiano è singolare.

Come potete vedere la maggior parte degli errori che gli italiani fanno in inglese derivano dalle stranezze della lingua italiana (per esempio l’uso della stessa parola per indicare cose o azioni diverse). Questo è importante da tenere in mente, invece di stare sempre lì a lamentarsi di quanto sia difficile l’inglese. Spesso il problema è la lingua nativa non quella che si sta imparando. Questi dieci punti ci insegnano anche un’altra cosa che non mi stancherò mai di ripetere (ed è anche il motivo per cui ho iniziato questa rubrica): il metodo di insegnamento dell’inglese nelle scuole italiane è mediocre, inutile e spesso controproducente. Tutti gli italiani che ho incontrato all’estero facevano e alcuni tuttora fanno questi errori. Significa che non importa da quale regione, strato sociale, generazione questi italiani siano venuti. La scuola e gli insegnanti di inglese non si sono mai premurati di dire “Ragazzi, allora stiamo molto attenti a questi tipici errori degli italiani. Ora ve li elenco.”. No, ci si è limitati infatti a far completare quelle stupide e inutili “unit” dei libri d’inglese scritti da inglesi per i corsi internazionali dei college inglesi. Un libro d’inglese per italiani dovrebbe essere scritto da italiani perché solo un italiano può capire e prevenire i tranelli dell’apprendimento dell’inglese su cui i madrelingua italiani possono cadere.

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Quello che non vi hanno mai insegnato al corso d’inglese: il maledetto th

Cari affezionati ascoltatori, ecco che riprendiamo la fortunata serie “Quello che non vi hanno mai insegnato al corso d’inglese”. Per le altre puntate potete andare qui, qui, qui e qui. Ne approfitto per dire a tutte le maestrine d’inglese che continuano a commentare nei post precedenti che non me ne importa un fico secco delle vostre abilitazioni ufficiali, lauree quinquennali e master, timbri, timbrini e 5 mesi di college a Cambridge. Non sono quei foglietti a darvi autorità ma l’esperienza su campo e soprattutto capire che l’italiano medio ha esigenze diverse da altri tipi di studenti.

Oggi parleremo del digrafo th, che gli italiani raramente riescono a pronunciare bene. Ma questa volta siamo in buona compagnia. L’insegnamento di una lingua deve essere come l’accoppiata diagnosi-cura del medico: bisogna diagnosticare la malattia (la lingua madre di appartenenza) e dare una cura adeguata (una lezione specifica per quel tipo di madre lingua). Ecco perché i corsi d’inglese in Italia non servono a nulla: perché sono fatti e pensati da autori di Oxford per i madrelingua, non per gli italiani. Quasi tutti i popoli delle lingue più diffuse hanno grossi problemi con questo suono. I tedeschi per esempio sono lo zimbello degli inglesi da questo punto di vista. “Ze pen is on ze table.” O come in un famoso e spassosissimo commercial “What are you sinking about?” del video qui sotto.

Gli spagnoli e i greci se la cavano abbastanza bene, complice l’uso di suoni simili nelle loro lingue (per lo meno nel madrileno e nel castigliano standard la pronuncia della c è simile a quella del th; per i greci la pronuncia della theta). I francesi sono simili a noi invece: non riuscendo a pronunciare th utilizzano t, f o v.

Ma come diavolo si pronuncia questo th? Per essere completamente padroni di questo suono senza doverci pensare ogni volta ci vogliono anni. Questo suono è così complesso che perfino i bambini di lingua madre inglese lo imparano come ultimo intorno ai 5-6 anni d’età. Addirittura ci sono regioni dell’anglosfera (paesi del mondo dove si parla inglese) in cui non si pronuncia correttamente confondendo per omofonia il suono th con f o v, esattamente come gli italiani.

Quello che dico sempre ai miei studenti immaginari è: fate finta di avere un pelo o un pelucchio sulla punta della lingua e cercate di  sputarlo via in maniera cortese, come se foste al teatro o ad una riunione. La punta della lingua deve stare tra gli incisivi appena separati e le labbra devono aprirsi per emettere un suono a metà tra la effe e la ti. Col tempo l’effetto “sputo” svanirà e vi sembrerà naturale.

Non bisogna avere alcuna vergogna nell’esagerare questo suono. Tirate fuori la punta della  lingua completamente, mettetela tra gli incisivi e pronunciate una effe. La punta della lingua si deve vedere. Anzi più è teatrale più farete la parte del “posh english”. Gli inglesi inoltre quando vogliono sottolineare una parola con connotati negativi esagerano con la fuoriuscita della lingua come in filthy, o loath. Guardate questo video e soprattutto a 0:19 come la lingua dell’attrice esca fuori tra le labbra.

Oppure qui. Guardate come la lingua esca fuori tantissimo dalle labbra quando pronuncia “nothing” e “anything”. In questa situazione l’attrice voleva sottolineare quella parola per enfatizzare che non ha visto proprio “niente”.

Nel fermo immagine che ho preso da questo video di Lost si vede la stessa attrice che pronuncia “three o’clock in the morning”. Guardate quanto la lingua è fuori dalle labbra. Questo è normale in certe situazioni e a mio parere gli studenti dovrebbero esercitarsi così.

Di nuovo, non mi ricordo di una lezione apposita su questo suono nella mia esperienza scolastica con quasi dieci insegnanti. Io farei almeno due lezioni solo per esercitare gli studenti con questo suono. Tipo pronunciare a ripetizione: heathen, sixth, haywards heath (così si esercitano con l’uso di h e th). E poi ogni volta che si entra in classe “Good morning professor sixth heathen haywards heath” da pronunciare velocissimevolmente.

Nella mia esperienza poi gli italiani pronunciano il suono th come t o v quando si trova all’inizio della parola (the, their, them ecc.) mentre quando si trova alla fine come una f (bath, both, month). Quando si trova invece in mezzo come una d (father, mother, brother). Quindi, qui un buon insegnante d’inglese non si deve limitare ad insegnare il suono th. Deve anche operare in maniera distinta come un chirurgo a seconda delle parole. Deve correggere e far esercitare gli studenti in base alla posizione del th nella parola perché gli studenti italiani tenderanno a scambiare i vari suoni a cui sono familiari -t, v, f e d- con il th.

Alla prossima!

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Quello che non vi hanno mai insegnato al corso d’inglese: la perdita della r

Come abbiamo visto qui i madrelingua inglesi hanno grosse difficoltà nel pronunciare la r nostrana. Parte di questo problema deriva anche dal fatto che in buona parte dell’inglese moderno il suono r è quasi scomparso. Si tratta del cosiddetto inglese non-rotico che si differenzia rispetto al rotico per la perdita del suono r in alcune parti delle parole. L’inglese non-rotico è una trasformazione della lingua inglese avvenuta negli ultimi due-trecento anni. Un tempo, fino quasi agli anni 50 nelle zone più rurali dell’Inghilterra, la variante prevalente era quella rotica poi è gradualmente scomparsa. Una delle ragioni di questo è sicuramente la diffusione della TV e della BBC che utilizza come variante standard la “received pronunciation”, la pronuncia della classe alta e della Regina, una variante non-rotica appunto. L’inglese rotico resiste ancora in Scozia, nella zona di Bristol (tanto che i bristoliani vengono simpaticamente presi in giro per il loro linguaggio “da pirati”) e in poche altre zone rurali. Fuori dal Regno lo troviamo in tutto il Canada e in alcune zone degli US della costa Est. Un’ altra prova del fatto che l’inglese non rotico si è imposto solo dal 1700 in poi. Tutta questa storia come ci può aiutare nel comprendere la lingua inglese? Be’ capire l’inglese non-rotico significa capire gli inglesi quando parlano e non mi pare poco. Di nuovo non mi ricordo di alcun insegnante d’inglese che mi abbia mai insegnato questo. Quando una r si trova alla fine di una parola non viene mai pronunciata (a meno che non segua un’altra parola con una vocale all’inizio, si parla di “ponte a r”). Car, bar, water, other, father, or ecc. vengono tutte pronunciate senza la r finale. Stessa cosa per la r seguita da consonante in mezzo alle parole come card, hard, board, ecc. Ma come fanno gli inglesi a capire che in quella parola c’è una r anche se non si pronuncia? E come facciamo noi non madrelingua a capirlo? Semplice, bisogna studiare la regola delle vocali lunghe: infatti car si pronuncerà caa, bar baa e water uotee.
La r pronunciata dagli americani è molto diversa da quella inglese e appesantisce le parole in modo considerevole. E’ una sorta di r pronunciata con la lingua arrotolata e molto lunga. Per gli inglesi acqua si dice uotee, mentre per un americano è uoterrrr (lingua arrottolata all’indietro, non come la nostra r).
Un episodio che mi ha fatto molto pensare oltre che ridere è quando un mio collega inglese è tornato da New York raccontandoci questa storia: “ero in un bar e ho chiesto dell’acqua ma il cameriere non mi ha capito! Alla fine ho dovuto indicargli la brocca dell’acqua di un tavolo vicino.”
Se un americano non riesce a capire la pronuncia britannica di water figuriamoci un italiano! Quindi state attenti quando andate in Inghilterra: evitate di pronunciare la r come se fosse un trattore e quando sentirete vocali lunghe alla fine della parola potrebbe essere una parola con la r finale.

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Quello che non vi hanno mai insegnato al corso d’inglese: l’H (non) alitata

Ho cominciato a capire che avevo problemi col suono H quando in Svezia, fresco fresco dai miei studi d’inglese in Italia, in un pomeriggio invernale di 6 anni fa dico: “I ate the snow.” “Ah, e che sapore aveva? A me è sempre piaciuto mangiare la neve.” mi dice la collega olandese. Ovviamente intendevo dire che odiavo la neve, H-A-T-E. Ma ho fatto il classico errore degli italiani: non riuscire a pronunciare e/o addirittura a distinguere il suono H. Quello fu l’inizio della mia lunga serie di figure di merda all’estero (grazie scuola italiana!).
Alcuni anni dopo ho cominciato a rendermi conto che avevo imparato perfettamente il suono H il giorno in cui non ho più capito gli italiani quando parlavano in inglese. E se non li capisco più io figuriamoci un inglese. Era una fredda giornata d’autunno (ho sempre voluto scrivere questo incipit) e stavo parlando con una ragazza italiana appena arrivata a Bristol insieme ad altri ragazzi internazionali. Dice che è iscritta al Dipartimento di Belle Arti (Arts) e da lì incominciamo a farle domande sulle arti, pittura, scultura ecc. Le sue risposte però sono evasive e confuse e ad un certo punto ci rendiamo conto che qualcosa non andava: era infatti iscritta a Cardiologia (heart).
Questi sono solo un paio di esempi della frustrazione iniziale che un italiano deve sperimentare sulla sua pelle. Il suono H non esiste nella nostra fonetica e di nuovo dovrebbe essere nella nostra bella lista di fonemi da leggere insieme al nostro alfabeto. Per pronunciare questo suono gli italiani si mettono semplicemente ad alitare mentre pronunciano le vocali, spesso distruggendosi i polmoni o ammazzando il vicino dopo aver mangiato spaghetti aglio, olio e peperoncino. Gli italiani pensano che sia semplicemente una vocale alitata e allungata fino a quando i polmoni vengono svuotati di tutta l’aria. In realtà il suono parte dalla gola (fricativa glottale sonora) ed è indipendente dalla vocale che segue. Per esempio in “hard” prima si pronuncia l’H con una sorta di “colpetto” che nasce in gola (bisogna lasciare un piccolo buco che lasci passare un “pacchetto” di aria) e poi si coordineranno le labbra e la bocca per formare la vocale, non il contrario. Quindi bisogna esercitarsi su questo “colpetto di gola” (scusate il termine!), non sulla vocale che segue.
Imparare il suono H è fondamentale e in un corso d’inglese serio si dovrebbero ripetere le parole con e senza H ad ogni lezione: ill-hill, ate-hate, hold-old etc. Gli esempi sono innumerevoli.
Ci sono alcune parole però dove la lettera H non si pronuncia e guarda caso sono quasi tutte quelle parole che vengono dal francese (!): hour, herb, honour, heir, honest. La sindrome da 1066 che ritorna. 😉
Esiste un trucco per scoprire se una parola si deve pronunciare con la H oppure no. Se l’articolo indeterminativo è a allora si deve leggere come H, se invece è an si deve leggere senza H. Vi sarete infatti sicuramente accorti che si dice an hour, non a hour. Per anni ho pronunciato hour con l’H. Ovviamente nessun insegnante d’inglese si è mai premurato di avvertirmi dell’eccezione. Poi mi sono reso conto che si diceva an hour mentre tutte le altre parole che incominciavano con H avevano a. Una veloce ricerca su internet mi ha svelato l’arcano e ora non smetto mai di avvertire i miei connazionali di questo errore.

Un’ultima curiosità: vi sarete sicuramente chiesti perché nell’alfabeto latino esista la lettera H. La risposta è che i romani e prima di loro gli etruschi avevano questo fonema esattamente come gli inglesi oggi*. Poi nel passaggio alle lingue romanze si è perso con la sola eccezione del rumeno che lo ha preso in prestito dalle lingue slave (superstratum slavico). Infatti parole latine come history vengono pronunciate con la H e questo ci dice che deriva direttamente dal latino (probabilmente di ritorno nel medioevo) non dal franco-normanno. Ma non historical che è forse una modificazione influenzata dal franco-normanno (ma questa è una mia congettura). Anche la pronuncia di hotel è spesso controversa a causa del francese. In molte parti del Regno si dice an hotel e la H è muta. Esiste poi il dialetto cockney tipico delle zone popolari di Londra Est che presenta il caratteristico h-dropping, cioè la scomparsa dell’H all’inizio delle parole. Un dialetto che è stato esportato anche in alcune parti degli USA e Australia.

*E, ma questa è solo un’altra mia congettura, in Toscana pare sia rimasta una traccia di questa eredità etrusca nell’incapacità di alcune zone di pronunciare la C: ecco al posto della C sembra che venga pronunciata una sorta di H aspirata.

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