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The disappearance of Alice Creed – Breve recensione

Questo film mi è capitato tra le mani per puro caso e sono proprio questi film inaspettati che mi fanno più piacere. Una produzione tutta britannica e un budget ridottissimo per un film che in definitiva si svolge solo all’interno di un appartamento e ha solo tre attori. Uno dei quali è la bellissima, sensualissima Gemma Arterton. Chi conosce le mie recensioni sa bene quanto poco valuti la bellezza di un’attrice per valutare un film ma in questo caso devo fare un’eccezione. Gemma è tra le mie attrici preferite e la considero una delle più belle e brave in circolazione al momento. Per questo film era perfetta e sensuale (nuda per molte scene del film). Eddie Marsan e Martin Compston sono perfetti per la parte e il trio lavora bene assieme. Ottimi attori.

La storia è tanto semplice quanto complessa: due provetti malviventi organizzano il rapimento perfetto fino a quando qualcosa non va storto. Ci sono molti comlpi di scena nel film e non voglio rivelarvi nulla. Se avete tempo e non avete nient’altro da guardare vi consiglio di sedervi in poltrona e gustarvi questo piccolo gioiello britannico, possibilmente in lingua originale.

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The Dark Knight Rises – recensione (più seria e con qualche considerazione sociologica)

Visto che il post di ieri è stato scritto un po’ di getto sulla scia di una delusione totale scriverò qualche commento più approfondito qui. Premetto che non pubblicherò i soliti commenti da bimbominkia quindi cercate di essere più raffinati se volete discutere pacatamente del film in questione.

The Dark Knight Rises (TDKR) è l’ultimo capitolo della trilogia di Nolan su Batman. Un Batman, impersonato da Christian Bale più oscuro e adulto rispetto ad altri tentativi precedenti (basti pensare al Batman di Tim Burton). Ma se il film ci dà l’impressione di essere un film d’alto livello questa è solo una visione superficiale condizionata dall’hype continuo e dalle aspettative di massa. In quest’era di massificazione globale basta pubblicizzare un film come se fosse il capolavoro dell’anno per renderlo automaticamente tale. Questo lavaggio del cervello di massa si basa sui comportamenti di conformismo già noti alla psicologia moderna. L’esperimento sul conformismo di Asch mi aiuta a spiegare cosa succede in questi casi:

Nell’esperimento di Asch c’è una vittima e tutti gli altri sono complici. Vengono mostrate figure e forme geometriche e tutti rispondono in maniera sbagliata e la vittima costringe se stessa ad affermare la stessa cosa sbagliata e si autoconvince che quello che pensava fosse vero è sbagliato.

Pochi sono in grado di dissentire da un giudizio massificato anche quando oggettivamente errato. Ci vogliono le palle per dire che il Re è nudo, per dire come Fantozzi che la “Corazzata Potemkin è una cagata pazzesca”, bisogna avere una personalità fuori dal comune per dire tutto quello che gli altri sotto sotto pensano ma non osano dire.

E così TDKR è un capolavoro, nonostante la maggior parte delle persone non abbia capito un fico secco della trama; nonostante quello che il cattivo e Batman dicano non si senta o capisca dietro le loro maschere (vere come quella di Baine o finte come la voce gutturale da tabagista di Bale); nonostante tutti al cinema stessero dormendo o sbuffando; nonostante i buchi della trama lo rendano infantile e incomprensibile. Nonostante tutto questo l’uomo medio, un essere intercambiale che ormai si nutre di giudizi altrui massificati e ingegnerizzati per l’uomo medio, uscirà da quel cinema con ancora il sonno negli occhi, con quelle domande nella sua mente non risposte del tipo “ma chi era quel personaggio lì?” o “cosa ha detto Batman in quel momento e perché avrei dovuto ridere?” – per cui non avrà mai coraggio di chiedere spiegazioni altrimenti si sentirà “un po’ scemo” – e dirà: “Il film è bellissimo, un capolavoro!” E gli amici intorno annuiranno come nell’esperimento di Asch, nonostante abbiano avuto le stesse sensazioni e le domande non risposte del primo. E tutto questo si rafforzerà nei mesi successivi quando, spinti dalla stessa massificazione che li portò al cinema, DOVRANNO comprare il BluRay in Edizione Limitata che lasceranno a prendere polvere insieme al resto della collezione di BluRay comprati per le stesse ragioni.

Un film cervellotico, che fa finta di essere un film con significati profondi, che si atteggia a capolavoro quando ha buchi vergognosi nella trama, che risulta incomprensibile (come quei film d’autore francesi degli anni 70 o come appunto la Corazzata Potemkin; “l’occhio della madre!” si trasforma in “la voce di Batman!”), che prende per il culo gli spettatori dandoti l’impressione di stare a guardare qualcosa che ha un senso per quasi 3 ore. Ecco, è questo che mi dà fastidio dei blockbuster moderni: la presa in giro pensata e razionalizzata a puntino. Già ce li immaginiamo gli scrittori e i registi nei loro uffici:

“Ma come facciamo a far tornare Batman dall’India (o dove cazzo era) e a farlo entrare in una città assediata da 5 mesi?” “Niente, lo fai apparire in giacca e cravatta dal nulla. La gente non si fa queste domande, accetta e basta.”

“Ma come facciamo a giustificare le decisioni dei cattivi che hanno la possibilità di uccidere Batman due volte ma non lo fanno mai?” “Niente, basta dire che è un capolavoro e la gente lo accetta.”

“Ma come facciamo a far credere che 500 poliziotti seppelliti vivi per 5 mesi possano uscire da un buco perfettamente sbarbati e freschi pronti a combattere il crimine?” “Niente, li fai uscire sbarbati e freschi.”

“Ma come si può giustificare che due eserciti a confronto armati di AK47, cannoni e granate poi si possano picchiare stile Bud Spencer nella rissa al saloon?” “Niente, le armi scompaiono dalle loro armi nel fotogramma seguente e si prendono a ceffoni come Bud Spencer.”

E così via all’infinito, senza senso e con un sospettoso prurito massificato al sedere che tutti faremo finta di non sentire. “Ma non è che Nolan mi sta prendendo per il culo?” No, impossibile! Tutti dicono che è un capolavoro!

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The Dark Knight Rises – Recensione

Credo che dopo l’uscita di questo film potremmo dare tutti un’altra chiave di lettura alla scena fantozziana della Corazzata Potemkin. Le cagate pazzesche si vanno a vedere non solo perché un direttore fil de putt costringe i suoi dipendenti a guardarle ma anche perché un intero sistema ingegnoso e ben oliato di media, giornali, internet crea un hype così grande che la gente va a vedere un film perché crede sia un capolavoro. Il film dell’anno, il boom del botteghino più grande della storia e nessuno ha le palle di urlare davanti a tutti come Fantozzi che: The Dark Knight Rises è una cagata pazzesca.

Credo che la persona nel mio cinema che ha commentato al meglio il film sia stato il mio vicino di poltrona: mentre uscivo dalla sala 20 minuti prima della fine l’ho sentito russare pesantemente. E la chiudo così.

p.s.

Qui un post più ragionato.

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Prometheus- Recensione

Ormai sta diventando la mia firma ufficiale per tutte le recensioni cinematografiche ma è veramente difficile ignorare il fatto che per l’ennesima volta l’Italia (ma anche la Svizzera italiana quindi si tratta di un problema della compagnia che doppia i film; d’altronde gli unici due-tre doppiatori italiani –della stessa famiglia– sono impegnati a doppiare centinaia di altri film e serie TV) sia sempre l’ultima a distribuire i grandi film nel suo territorio. Mentre il resto del globo, compresi Vietnam, Macedonia e Pakistan sta in questo momento guardando Prometheus in tutti i cinema, gli italiani dovranno aspettare fino al 19 Ottobre 2012 per poter vedere questo film. Poi ci si lamenta del download illegale in Italia.

***

E’ con grande dispiacere che scrivo questa recensione. Credevo molto in questo progetto, credevo molto in Ridley Scott e scrivere ciò che leggerete più giù fa più male di quanto possiate immaginare.

Prima di tutto diciamo che Ridley Scott ha abbandonato l’ “hard science fiction” a cui ci aveva abituati con Alien e Blade Runner. Lo ha fatto abbracciando il più remunerativo – sul breve periodo – metodo hollywoodiano che consiste nel considerare gli spettatori come degli emeriti coglioni incapaci di distinguere tra ciò che è plausibile e ciò che non lo è. Tante lucine, nessuna storia.

Di fatto Prometheus non è altro che un bellissimo, meraviglioso specchio per le allodole con tanti gingilli e sonaglietti ma con una inconsistente trama, piena di buchi narrativi e logici. E forse la colpa è anche di chi ha scritto il film, un certo Lindelof: esatto quello che ha scritto il finale di Lost.

Il più grande problema di Prometheus è che i suoi personaggi non si comportano come esseri umani ma come subumani – di fatti perfino un bambino di 5 anni prenderebbe decisioni più logiche. I protagonisti vengono posti di fronte a situazioni incredibili una dopo l’altra e reagiscono a casaccio tanto che l’unico personaggio che agisce da essere umano è l’androide David.

Ma andiamo con ordine incominciando con la trama: affascinante, con un potenziale enorme e con molti sottotemi da esplorare. La storia si dipana alcuni anni prima dell’arrivo della Nostromo di Ripley del primo film Alien. Due archeologi trovano un messaggio nascosto nei bassorilievi e nei dipinti di varie civiltà. Un invito da parte di alieni verso il loro pianeta. Da questo momento in poi gli spettatori sanno già tutto quello che c’è da sapere del film perché i due archeologi sanno già tutto. E questo è il primo errore di questo film nel quale è stato abbandonato in maniera plateale qualsiasi tipo di climax, gusto per l’attesa e scoperta finale tanto importanti in un film come per esempio Alien. Sappiamo tutto perché i protagonisti sanno tutto, tanto che non c’è da stupirsi se i protagonisti non si stupiscano di quello che trovano.

Cosa trovano? Un pianeta con delle strutture artificiali costruite dagli Ingegneri. Ovvero una razza aliena che ha progettato e sparso la vita nell’Universo, compresa la Terra. Niente di nuovo in tutto ciò, si tratta della vecchia affascinante teoria della panspermia, di per sé plausibile. La Panspermia è più plausibile di qualsiasi comportamento che da questo momento in poi i nostri protagonisti hanno. Le regole di buon senso, prima ancora che della avventura spaziale, consistono nel non venire in contatto con atmosfera, agenti, manufatti, organismi, liquidi alieni di un pianeta alieno. Punto. Parole come contaminazione, quarantena, protezione da agenti alieni sembrano non interessare a nessuno nel film. Il primo pianeta dove si scopre vita aliena e tu te ne vai a passeggiare come faresti nel parco sotto casa senza casco e toccando ogni organismo e liquido con cui vieni a contatto a mani nude.

Mancanza totale di “sense of wonder”. Manufatti, organismi, fossili niente gli fa strabuzzare gli occhi e aprire la bocca in un muto WOW. Anzi uno degli “scienziati” (la parola scienza non dovrebbe essere utilizzata in questa recensione) se ne va pure perché dice che non gliene frega assolutamente niente di quello che c’è lì e vuole tornare sulla nave. Due anni in criostasi, scelto per la missione più importante dell’umanità e giri le spalle a ciò che potrebbe rispondere a tutte le domande che ci siamo fatti sulla vita. In realtà è solo un trucco per chi ha scritto il film per creare un’altra situazione dove uno “scienziato” ancora più stupido -definito biologo- si mette a toccare un alieno che cerca di attrarre come fosse un gattino per poi morire miseramente. Il film è pieno di queste situazioni in cui i personaggi prendono decisioni da amebe per creare piccoli subplot, siparietti gli uni slegati dagli altri. E sono tutte decisioni propedeutiche a qualche disastro necessario per shockare lo spettatore. Ma uno scrittore deve saper dosare questi trucchetti, deve saper dare ai personaggi una plausibile scusante per comportamenti assurdi. Altrimenti si rischia, come nel caso di Prometheus, a dover applaudire a film del calibro di Alien vs Predator tanto per intenderci.

Ora quando in un film ci infili scienziati, termini scientifici e non capisci un cazzo di queste cose fai attenzione altrimenti fai la figura del cretino. Ed è proprio una figura da cretini che fanno Lindelof e Scott propinandoci teorie, concetti, termini scientifici sconnessi e senza fondamento degni di un film pulp con zombie di serie B. Una vergogna non per la scienza ma per il buon senso. In rete girano già i primi video che prendono per il culo pesantemente il film sotto questo aspetto come questo qui sotto (cose che non avevo visto neppure per Alien vs Predator):

Inoltre il film si propone come una sorta di viaggio fantascientifico con un profilo filosofico-spirituale. Una ricercatrice molto credente che vuole trovare le risposte ai perché dell’Universo e pensa che comunicare con gli alieni ingegneri la possa aiutare a trovare le risposte che sta cercando. Ma tutto viene miscelato nel tritacarne e questo lato spirituale viene dimenticato a metà strada nel mezzo di un monster movie senza né capo né coda. Alla fine la protagonista trova alcune risposte ma preferisce rifugiarsi di nuovo nella sua religione. Ma di nuovo, la confusione è tale che ci pare chiaro che lo zampino di Lindelof fatto di accenni, allusioni e specchietti abbia fatto l’ennesima vittima: come in Lost alla fine del film non esiste alcuna spiegazione, tutto può essere un sogno ma non lo sapremo mai.

Sui personaggi i soliti cliché all’americana: scienziata dall’accento britannico (Noomi Rapace ha fatto un corso in british english per questo film; gli americani pensano che i ricercatori parlino tutti come Elisabetta II e non bisogna deluderli); scienziato punkabestia; nero che parla ghettostyle e che fa la solita morte inutile del nero; cinese in quota orientale inutile (a quando la quota indiana?); manager della compagnia senza scrupoli e che pensa solo al denaro ecc.

Fassbender che impersona l’androide David (la parte dell’androide è sempre quella centrale nei film di Alien) è l’unico attore per cui valga la pena soffermarsi. Veramente un ottimo personaggio, che potrebbe arricchire di sottotrame un intero nuovo universo di film. Di fatti il film potrebbe incentrarsi intorno all’androide David e il film potrebbe funzionare.

L’ottima Charlize Theron, che impersona una glaciale donna della compagnia commerciale, sprecata come fosse un personaggio secondario. Il film è come se fosse stato scritto da due persone e i personaggi vengono portati in risalto o buttati in un angolo a casaccio. Non riusciamo a seguire le loro storie tanto il film è spezzettato in siparietti senza collegamento tra loro. Certe scene incominciano dal nulla e finiscono nel nulla senza connessione. Sembra più un pacchetto di short stories fantascientifiche. Com’è possibile che un produttore o un regista del calibro di Scott possano arrivare a tali livelli di infantilità mi raggela. E’ shockante pensare che un mostro sacro come Scott possa raggiungere livelli di mediocrità tali.

Attenzione quindi, non fatevi stupire dagli effetti speciali e dai grandi nomi di Prometheus. Si tratta della trama -e degli errori!- di un film di serie B nel costume di un supermilionario blockbuster. Una vergogna che tra l’altro lascia i soliti dubbi irrisolti perché è già pronto un sequel.

Amen

p.s.

felice di non essere l’unico a pensarla così. Qui, qui e qui. Pare che questo film, come accadde con Avatar anni fa, piacerà solo a chi non è appassionato di fantascienza e non ha visto i film di Alien.

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John Carter – Recensione

E’ da un bel po’ che non andavo al cinema (viva Lovefilm!) e che non scrivevo una bella recensione sul blog. Eccoci qua quindi a recensire uno dei film più belli di quest’anno cinematografico, almeno dal mio solitario punto di vista. Quella che leggerete infatti è una delle poche recensioni (ultra)positive del film, devastato dai commenti antecedenti (a volte anche due mesi prima) alla sua uscita nei cinema, associato alla parola flop costantemente e considerato “dalla trama confusionaria”. Sembra incredibile ma i critici avevano già deciso che il film sarebbe stato un disastro perfino prima di averlo visto.

John Carter (da Marte è stato tolto dal titolo originale perché sarebbe potuto sembrare l’ennesimo film flop con la parola Marte nel titolo) è una megaproduzione dell’accoppiata Disney-Pixar (Nemo e Wall-E) che è costata 250 milioni di dollari e un paio di anni di riprese. Tratto da una serie di famosi romanzi di Edgar Rice Burroughs (quello che ha inventato Tarzan) diventati popolari attraverso i pulp magazine degli anni 30. La gestazione è stata lunga e travagliata e se consideriamo che la Disney deteneva i diritti dal lontano 1937 per produrre un film d’animazione, possiamo dire che questo è il film dalla produzione più lunga della storia del cinema mondiale. John Carter sarebbe dovuto essere il primo lungometraggio della Disney prima di Biancaneve e i Sette Nani.

Ma non fatevi sviare dalla parola Disney: questo è un film corposo per adulti, con scene di violenza, decapitazioni, (un po’) di sangue e quant’altro. E’ infatti il terzo film della Disney ad avere il bollino PG13 della sua storia. Inoltre c’è il marchio Pixar che si vede. Oddio se si vede! Non ho particolarmente a cuore gli effetti speciali in un film ma in questo caso quelli che ho visto io sono i più magnifici, spettacolari e ben integrati con gli umani in carne e ossa che abbia mai visto in vita mia. L’interazione tra alieni in CGI e attori umani è forse la più avanzata che abbia mai visto. I colori soprattutto sono stupendi anche grazie al fatto che lo sfondo è vero, il deserto dello Utah. Al contrario di Avatar e Star Wars dove gli sfondi sono finti. Roba da far impallidire George Lucas.

Lasciando da parte i commenti sulla CGI (sono sicuro che gli avvocati di Avatar sono in agguato per contestarmi) andiamo alla trama che secondo i suoi detrattori risulta confusionaria. Qui dissento fortemente: trattasi di una trama estratta da un romanzo (anzi serie di romanzi) con una sua complessità resa nel migliore dei modi sullo schermo. Capisco che la gente sia ormai abituata a trame semplici dove si possano individuare facilmente buoni e cattivi (qualcuno dalla regia mi dice Avatar…) ma addirittura considerare la trama di questo film come la parte peggiore del film ce ne passa. In John Carter ci sono differenti livelli, differenti stratificazioni e ci sono diversi personaggi comprimari che rendono il mondo di John Carter complesso, completo e realistico.

Trama. John Carter è un ex-capitano della cavalleria dell’esercito confederato che abbandona il mondo civile dopo la morte della moglie e figlia per cercare oro in una miniera dell’Arizona. Mentre scappa dai nordisti si ritrova in una grotta dove vi sono vari simboli alieni. Non voglio rovinarvi la sorpresa ma vi posso solo dire che John si ritrova catapultato su Marte dove è in atto una sanguinosa battaglia tra differenti fazioni per il controllo del pianeta. Controllo che in realtà è gestito dai Thern, degli esseri sovraumani che controllano il destino dei pianeti come fossero degli dèi. La trama si infittisce perché John viene in contatto con una tribù di alieni con quattro braccia, i Thask, i quali sono loro malgrado risucchiati nella guerra civile aliena. Qui vi è una sottotrama che riguarda i rapporti familiari tra i Thask e varie vicissitudini tragicomiche (no, niente Jar Jar Binx please). Entra in gioco la principessa di Helium, la bellissima e bravissima Collins che come ormai nei neocanoni disneyani odierni è principessa, bella, intelligentissima e abilissima (femminismo tascabile). Non so come fosse nell’originale di Burroughs ma conoscendo i pulp magazine dell’epoca credo proprio che la principessa nella trama ci fosse solo per mettere le tette in copertina. La principessa, dicevo, non vuole sposare il capo dell’altra fazione per far finire la guerra e scappa. Ma attenzione, quella che segue non è la solita storia d’amore disneyana. John vuole utilizzare la conoscenza di Dejah per tornare sulla Terra mentre Dejah vuole utilizzare John per i propri fini, ovvero scappare dal matrimonio concordato. Come potete vedere i due personaggi principali hanno scopi diversi, morali individualiste e solo alla fine scoppierà l’amore tra i due.

Ma, ripeto, non voglio rovinare la sorpresa a chi andrà a vederlo.

Nello specifico quindi abbiamo il tema della guerra civile americana trasferito su Marte, un John Carter che non vuole sacrificarsi o sacrificare altri per la causa dei governi (nello specifico potete leggere quello che ho scritto qui), un cattivo che non è cattivo ma semplicemente è guidato da forze sovraumane, una donna pronta a tutto pur di evitare di perdere la sua indipendenza, una specie di alieni che segue regole tradizionali ma che John Carter riesce a “contaminare” che si avvicina molto ai nativi americani. E tanto tanto sense of wonder tipico di quella prima corrente di fantascienza.

Se questo non è un bel film di fantascienza non so che dire. Forse non appartengo alla stessa specie con cui condivido il 99% dei miei geni, la stessa specie che era entrata in estasi per Avatar quando io invece ne avevo evidenziati i più grandi difetti della trama.

I media, i critici avevano deciso che Avatar era il film più bello della storia del cinema già prima che uscisse nelle sale; per John Carter avevano già deciso che sarebbe stato il flop più grande della storia del cinema. E probabilmente lo sarà vista la campagna di demolizione operata per mesi. A voi l’ardua sentenza, andate a vederlo senza pregiudizi (per quanto possibile) e poi mi direte.

p.s.

Ah, questo è il primo film che vedo dopo decenni che non ha un attore afroamericano inutile nel cast. Incredibile ma vero.

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Orrore geometrico

“For every equation, every formula in the superficial world, there is a corresponding curve or solid. For irrational formulas, for my √-1, we know of no corresponding solids, we’ve never seen them . . . But that’s just the whole horror – that these solids, invisible, exist. They absolutely inescapably must exist. […] And if we don’t see these solids in our surface world, there is for them, there inevitably must be, a whole immense world there, beneath the surface.”

We di Yevgeny Zamyatin

Prima di questo passaggio nel romanzo distopico We di Zamyatin l’unica volta in cui avevo sentito parlare di orrore derivato dalla geometria fu in Lovecraft. Ne Il richiamo di Chtulhu i protagonisti sono terrorizzati dalle forme e dagli angoli assurdi della città di R’Lyeh che sorge dal mare. Le geometrie vengono definite non-euclidee e creano sconcerto, nausea e appunto orrore puro. Non ho potuto fare a meno di pensare a Lovecraft quando ho letto questo pezzo. E’ possibile che sia solo un caso che i due autori contemporanei abbiano associato alla geometria la categoria dell’orrore. Oppure Lovecraft ha letto Zamyatin? Possibile ma alquanto improbabile. Quindi direi che l’unica soluzione, a parte il caso, è che in quel periodo, in quel ventennio qualche trattato scientifico, matematico o geometrico abbia avuto un certo successo di pubblico generalista. Lovecraft cita Einstein in alcuni suoi racconti e sicuramente l’impiegato svizzero dai capelli bianchi fluenti aveva incominciato a minare alle basi le più grandi convinzioni della fisica e del mondo proprio in quegli anni. Reimann e la sua geometria non-euclidea sono della seconda metà dell’800 e fece un certo scalpore all’epoca, ma qui parliamo di 70-80 anni dopo. Insomma mi dovrò rassegnare: è solo una coincidenza ma per poche ore è stato bello fare delle congetture tra l’opera di Lovecraft e di Zamyatin. Per chi volesse sapere di più di quest’ultimo e del suo romanzo distopico semisconosciuto ma che servì a Orwell per la stesura di 1984 potete andare qui. Buona lettura.

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Skyline – Recensione (versione estesa)

La storia di un palazzo di una megalopoli che attrae tanti brutti mostri.

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La Rivolta di Atlante – recensione

Finalmente ho finito di scrivere una serie di impressioni sul romanzo La rivolta di Atlante, o Atlas shrugged in inglese, di Ayn Rand, il romanzo su cui si basa il titolo dell’altro mio blog. Potere darci un’occhiata qui per capire anche le ragioni che mi hanno spinto ad aprire il blog Who is John Galt.

Buona lettura e spero che vi possa spingere a leggerlo.

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Kraken di China Miéville – Recensione

Di là ho scritto una recensione su Kraken, l’ultimo romanzo di China Miéville, il nuovo Mervyn Peake del terzo millennio. Continuo a pensare che bisogna tenere d’occhio Miéville, il miglior autore britannico degli ultimi anni e uno dei migliori in lingua inglese.

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Inception- recensione

Quando un film ti pervade la mente in maniera così pregnante che anche dopo che ci si è alzati dalla sedia del cinema si ha difficoltà a distinguere tra il film e la vita reale c’è poco da fare: si è appena visto un capolavoro, un’opera cioè che rappresenta una singolarità nella storia del cinema e che segna il canone per futuri lavori. Inception è uno di quei rari casi in cui si torna a casa ma si pensa di essere ancora nel film. Il regista ha fatto un lavoro certosino, ti ha infettato con un’idea e il meme rimarrà con te per sempre. Christopher Nolan è riuscito nel suo intento e ha creato un piccolo gioiello che in futuro non potrà mancare nella vostra videoteca fisica o memetica. Inception è probabilmente il film dell’anno, un evento cinematografico superiore a qualsiasi altra pellicola degli ultimi anni compreso il “supergonfiato” Avatar.

In breve -stando attento a non rivelare troppo- il film parla della possibilità di entrare nel mondo dei sogni e della possibilità per più persone di condividere lo stesso spazio onirico. In questo modo Leonardo Di Caprio e gli altri membri della squadra onirica riescono ad entrare nella mente delle persone, scoprire segreti, rubare codici e influenzarne le decisioni. Nella loro ultima missione tentano di entrare nella mente del figlio ereditiere di un miliardario per impiantargli l’idea di dividere il suo impero commerciale. Per fare questo hanno bisogno di architettare un piano che consiste nel ricreare un sogno dentro ad un sogno dentro ad un sogno, un effetto a scatole cinesi che complicherà le cose e costringerà i protagonisti a cambiare il loro progetto.

Inception è un blockbuster intelligente e unico. Strizza l’occhio ad un audience generale ma senza scadere nel commerciale. E’ cervellotico al punto giusto, sfiora il mondo dei geek ma non spaventa il pubblico generale. In questo senso l’unico film a cui riesco ad associarlo è Matrix. Ambedue sono film con una trama non lineare, commerciali e nerd-oriented allo stesso tempo, con effetti speciali rivoluzionari e pellicole che hanno fatto da spartiacque nella storia del cinema. Può sembrare azzardato prevedere una sorte da colonna portante del cinema per Inception come per Matrix, ma le qualità e i numeri sono tutti lì: ad appena un mese dalla sua uscita Inception ha sbancato il botteghino, ha eccitato pubblico e critica e su ImDb risulta essere il terzo film più votato della storia del cinema dopo Le ali della libertà e Il Padrino.

Con Inception Christopher Nolan si consacra definitivamente come nuovo mostro sacro di Hollywood. The Prestige e The dark knight erano solo i preamboli di una carriera in continuo crescendo.

Uno strepitoso Leonardo Di Caprio con una interpretazione brillante seconda solo a quella in Blood Diamond anni fa. Un attore ormai maturo capace di impersonare differenti ruoli con uno charme unico. Ottimi anche Ken Watanabe, Joseph Gordon-Lewitt e specialmente Tom Hardy.

Le solite note finali in stile Fabristol. Come al solito, a causa della pausa estiva che blocca l’intero paese, l’Italia sarà l‘ultimo posto dell’intero globo a vedere questo film. Ormai mi ritengo fortunato di poter vedere i film in anteprima rispetto ad un paese da quarto mondo come l’Italia.

Per il sottoscritto è il film più bello del 2010 insieme a Kick Ass.

 Se volete comprare il DVD di Inception potete andare qui.

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