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The Dark Knight Rises – recensione (più seria e con qualche considerazione sociologica)

Visto che il post di ieri è stato scritto un po’ di getto sulla scia di una delusione totale scriverò qualche commento più approfondito qui. Premetto che non pubblicherò i soliti commenti da bimbominkia quindi cercate di essere più raffinati se volete discutere pacatamente del film in questione.

The Dark Knight Rises (TDKR) è l’ultimo capitolo della trilogia di Nolan su Batman. Un Batman, impersonato da Christian Bale più oscuro e adulto rispetto ad altri tentativi precedenti (basti pensare al Batman di Tim Burton). Ma se il film ci dà l’impressione di essere un film d’alto livello questa è solo una visione superficiale condizionata dall’hype continuo e dalle aspettative di massa. In quest’era di massificazione globale basta pubblicizzare un film come se fosse il capolavoro dell’anno per renderlo automaticamente tale. Questo lavaggio del cervello di massa si basa sui comportamenti di conformismo già noti alla psicologia moderna. L’esperimento sul conformismo di Asch mi aiuta a spiegare cosa succede in questi casi:

Nell’esperimento di Asch c’è una vittima e tutti gli altri sono complici. Vengono mostrate figure e forme geometriche e tutti rispondono in maniera sbagliata e la vittima costringe se stessa ad affermare la stessa cosa sbagliata e si autoconvince che quello che pensava fosse vero è sbagliato.

Pochi sono in grado di dissentire da un giudizio massificato anche quando oggettivamente errato. Ci vogliono le palle per dire che il Re è nudo, per dire come Fantozzi che la “Corazzata Potemkin è una cagata pazzesca”, bisogna avere una personalità fuori dal comune per dire tutto quello che gli altri sotto sotto pensano ma non osano dire.

E così TDKR è un capolavoro, nonostante la maggior parte delle persone non abbia capito un fico secco della trama; nonostante quello che il cattivo e Batman dicano non si senta o capisca dietro le loro maschere (vere come quella di Baine o finte come la voce gutturale da tabagista di Bale); nonostante tutti al cinema stessero dormendo o sbuffando; nonostante i buchi della trama lo rendano infantile e incomprensibile. Nonostante tutto questo l’uomo medio, un essere intercambiale che ormai si nutre di giudizi altrui massificati e ingegnerizzati per l’uomo medio, uscirà da quel cinema con ancora il sonno negli occhi, con quelle domande nella sua mente non risposte del tipo “ma chi era quel personaggio lì?” o “cosa ha detto Batman in quel momento e perché avrei dovuto ridere?” – per cui non avrà mai coraggio di chiedere spiegazioni altrimenti si sentirà “un po’ scemo” – e dirà: “Il film è bellissimo, un capolavoro!” E gli amici intorno annuiranno come nell’esperimento di Asch, nonostante abbiano avuto le stesse sensazioni e le domande non risposte del primo. E tutto questo si rafforzerà nei mesi successivi quando, spinti dalla stessa massificazione che li portò al cinema, DOVRANNO comprare il BluRay in Edizione Limitata che lasceranno a prendere polvere insieme al resto della collezione di BluRay comprati per le stesse ragioni.

Un film cervellotico, che fa finta di essere un film con significati profondi, che si atteggia a capolavoro quando ha buchi vergognosi nella trama, che risulta incomprensibile (come quei film d’autore francesi degli anni 70 o come appunto la Corazzata Potemkin; “l’occhio della madre!” si trasforma in “la voce di Batman!”), che prende per il culo gli spettatori dandoti l’impressione di stare a guardare qualcosa che ha un senso per quasi 3 ore. Ecco, è questo che mi dà fastidio dei blockbuster moderni: la presa in giro pensata e razionalizzata a puntino. Già ce li immaginiamo gli scrittori e i registi nei loro uffici:

“Ma come facciamo a far tornare Batman dall’India (o dove cazzo era) e a farlo entrare in una città assediata da 5 mesi?” “Niente, lo fai apparire in giacca e cravatta dal nulla. La gente non si fa queste domande, accetta e basta.”

“Ma come facciamo a giustificare le decisioni dei cattivi che hanno la possibilità di uccidere Batman due volte ma non lo fanno mai?” “Niente, basta dire che è un capolavoro e la gente lo accetta.”

“Ma come facciamo a far credere che 500 poliziotti seppelliti vivi per 5 mesi possano uscire da un buco perfettamente sbarbati e freschi pronti a combattere il crimine?” “Niente, li fai uscire sbarbati e freschi.”

“Ma come si può giustificare che due eserciti a confronto armati di AK47, cannoni e granate poi si possano picchiare stile Bud Spencer nella rissa al saloon?” “Niente, le armi scompaiono dalle loro armi nel fotogramma seguente e si prendono a ceffoni come Bud Spencer.”

E così via all’infinito, senza senso e con un sospettoso prurito massificato al sedere che tutti faremo finta di non sentire. “Ma non è che Nolan mi sta prendendo per il culo?” No, impossibile! Tutti dicono che è un capolavoro!

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The Dark Knight Rises – Recensione

Credo che dopo l’uscita di questo film potremmo dare tutti un’altra chiave di lettura alla scena fantozziana della Corazzata Potemkin. Le cagate pazzesche si vanno a vedere non solo perché un direttore fil de putt costringe i suoi dipendenti a guardarle ma anche perché un intero sistema ingegnoso e ben oliato di media, giornali, internet crea un hype così grande che la gente va a vedere un film perché crede sia un capolavoro. Il film dell’anno, il boom del botteghino più grande della storia e nessuno ha le palle di urlare davanti a tutti come Fantozzi che: The Dark Knight Rises è una cagata pazzesca.

Credo che la persona nel mio cinema che ha commentato al meglio il film sia stato il mio vicino di poltrona: mentre uscivo dalla sala 20 minuti prima della fine l’ho sentito russare pesantemente. E la chiudo così.

p.s.

Qui un post più ragionato.

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John Carter – Recensione

E’ da un bel po’ che non andavo al cinema (viva Lovefilm!) e che non scrivevo una bella recensione sul blog. Eccoci qua quindi a recensire uno dei film più belli di quest’anno cinematografico, almeno dal mio solitario punto di vista. Quella che leggerete infatti è una delle poche recensioni (ultra)positive del film, devastato dai commenti antecedenti (a volte anche due mesi prima) alla sua uscita nei cinema, associato alla parola flop costantemente e considerato “dalla trama confusionaria”. Sembra incredibile ma i critici avevano già deciso che il film sarebbe stato un disastro perfino prima di averlo visto.

John Carter (da Marte è stato tolto dal titolo originale perché sarebbe potuto sembrare l’ennesimo film flop con la parola Marte nel titolo) è una megaproduzione dell’accoppiata Disney-Pixar (Nemo e Wall-E) che è costata 250 milioni di dollari e un paio di anni di riprese. Tratto da una serie di famosi romanzi di Edgar Rice Burroughs (quello che ha inventato Tarzan) diventati popolari attraverso i pulp magazine degli anni 30. La gestazione è stata lunga e travagliata e se consideriamo che la Disney deteneva i diritti dal lontano 1937 per produrre un film d’animazione, possiamo dire che questo è il film dalla produzione più lunga della storia del cinema mondiale. John Carter sarebbe dovuto essere il primo lungometraggio della Disney prima di Biancaneve e i Sette Nani.

Ma non fatevi sviare dalla parola Disney: questo è un film corposo per adulti, con scene di violenza, decapitazioni, (un po’) di sangue e quant’altro. E’ infatti il terzo film della Disney ad avere il bollino PG13 della sua storia. Inoltre c’è il marchio Pixar che si vede. Oddio se si vede! Non ho particolarmente a cuore gli effetti speciali in un film ma in questo caso quelli che ho visto io sono i più magnifici, spettacolari e ben integrati con gli umani in carne e ossa che abbia mai visto in vita mia. L’interazione tra alieni in CGI e attori umani è forse la più avanzata che abbia mai visto. I colori soprattutto sono stupendi anche grazie al fatto che lo sfondo è vero, il deserto dello Utah. Al contrario di Avatar e Star Wars dove gli sfondi sono finti. Roba da far impallidire George Lucas.

Lasciando da parte i commenti sulla CGI (sono sicuro che gli avvocati di Avatar sono in agguato per contestarmi) andiamo alla trama che secondo i suoi detrattori risulta confusionaria. Qui dissento fortemente: trattasi di una trama estratta da un romanzo (anzi serie di romanzi) con una sua complessità resa nel migliore dei modi sullo schermo. Capisco che la gente sia ormai abituata a trame semplici dove si possano individuare facilmente buoni e cattivi (qualcuno dalla regia mi dice Avatar…) ma addirittura considerare la trama di questo film come la parte peggiore del film ce ne passa. In John Carter ci sono differenti livelli, differenti stratificazioni e ci sono diversi personaggi comprimari che rendono il mondo di John Carter complesso, completo e realistico.

Trama. John Carter è un ex-capitano della cavalleria dell’esercito confederato che abbandona il mondo civile dopo la morte della moglie e figlia per cercare oro in una miniera dell’Arizona. Mentre scappa dai nordisti si ritrova in una grotta dove vi sono vari simboli alieni. Non voglio rovinarvi la sorpresa ma vi posso solo dire che John si ritrova catapultato su Marte dove è in atto una sanguinosa battaglia tra differenti fazioni per il controllo del pianeta. Controllo che in realtà è gestito dai Thern, degli esseri sovraumani che controllano il destino dei pianeti come fossero degli dèi. La trama si infittisce perché John viene in contatto con una tribù di alieni con quattro braccia, i Thask, i quali sono loro malgrado risucchiati nella guerra civile aliena. Qui vi è una sottotrama che riguarda i rapporti familiari tra i Thask e varie vicissitudini tragicomiche (no, niente Jar Jar Binx please). Entra in gioco la principessa di Helium, la bellissima e bravissima Collins che come ormai nei neocanoni disneyani odierni è principessa, bella, intelligentissima e abilissima (femminismo tascabile). Non so come fosse nell’originale di Burroughs ma conoscendo i pulp magazine dell’epoca credo proprio che la principessa nella trama ci fosse solo per mettere le tette in copertina. La principessa, dicevo, non vuole sposare il capo dell’altra fazione per far finire la guerra e scappa. Ma attenzione, quella che segue non è la solita storia d’amore disneyana. John vuole utilizzare la conoscenza di Dejah per tornare sulla Terra mentre Dejah vuole utilizzare John per i propri fini, ovvero scappare dal matrimonio concordato. Come potete vedere i due personaggi principali hanno scopi diversi, morali individualiste e solo alla fine scoppierà l’amore tra i due.

Ma, ripeto, non voglio rovinare la sorpresa a chi andrà a vederlo.

Nello specifico quindi abbiamo il tema della guerra civile americana trasferito su Marte, un John Carter che non vuole sacrificarsi o sacrificare altri per la causa dei governi (nello specifico potete leggere quello che ho scritto qui), un cattivo che non è cattivo ma semplicemente è guidato da forze sovraumane, una donna pronta a tutto pur di evitare di perdere la sua indipendenza, una specie di alieni che segue regole tradizionali ma che John Carter riesce a “contaminare” che si avvicina molto ai nativi americani. E tanto tanto sense of wonder tipico di quella prima corrente di fantascienza.

Se questo non è un bel film di fantascienza non so che dire. Forse non appartengo alla stessa specie con cui condivido il 99% dei miei geni, la stessa specie che era entrata in estasi per Avatar quando io invece ne avevo evidenziati i più grandi difetti della trama.

I media, i critici avevano deciso che Avatar era il film più bello della storia del cinema già prima che uscisse nelle sale; per John Carter avevano già deciso che sarebbe stato il flop più grande della storia del cinema. E probabilmente lo sarà vista la campagna di demolizione operata per mesi. A voi l’ardua sentenza, andate a vederlo senza pregiudizi (per quanto possibile) e poi mi direte.

p.s.

Ah, questo è il primo film che vedo dopo decenni che non ha un attore afroamericano inutile nel cast. Incredibile ma vero.

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