Copia-incollo un bellissimo post di Andima. Al contrario di quello che però scrive lui nel titolo io penso che siano 10 motivi PER andare all’estero. 😉
Periodicamente si torna a parlare di brain drain, per dichiarazioni discutibili di politici di turno o perché le statistiche vanno aggiornate e così le conclusioni spremute dai loro risultati. Andiamo allora controcorrente e proviamo a riportare un decalogo del perché andare all’estero potrebbe non essere la scelta ottimale:
1. La lingua. Altrove si parla un’altra lingua, che per quanto possiate parlare (o credere di parlare) bene, rimane comunque una lingua straniera. Se vi sentite pronti ad affrontare i primi colloqui o le prime avventure tra accenti maldestri e verbi mal coniugati, provate a pensarvi la prima settimana in un ospedale, perché qualcosa del genere può sempre succedere nelle coincidenze incaute della vita, e pensate a dover descrivere le parti del corpo che vi fanno male (quelle per cui non è facile risolvere tutto in un qui, là, questa cosa) o i sintomi (vi brucia? vi preme? vi tira?). Certo oggi è tutto più facile, ma bisogna anche avere fortuna, siete pronti?
2. Lo shock culturale. Un altro paese è un altro paese, altri modi di fare, di essere, di vivere, e questi modi vi potrebbero sembrare tutti sbagliati, vittime dello shock culturale, quando si perdono i punti di riferimento e dopo un periodo estasiante da foglio bianco dovuto al cambio, vi potreste ritrovare in un umori grigi tra rifiuti e lamenti, rigettando il diverso che vi circonda all’estero. Ci vuole comprensione, autocritica e voglia di capire. Pronti?
3. Le reti sociali. E non quelle virtuali, ma di amicizie e conoscenze reali. In un paese straniero le reti sociali sono da ricostruire totalmente e se non si hanno già degli amici sul posto, non sempre è facilissimo crearsi un proprio gruppo, soprattutto con i locali, già impegnati nelle proprie reti sociali come voi lo sareste in patria, o con i colleghi, spesso non coetanei e magari restii a rapporti extra-lavorativi. Corsi di lingua, vita mondana, coincidenze, possono aiutare, con un po’ di fortuna, pazienza, voglia di conoscere. Siete pronti?
4. Il tuo paese, visto da fuori. Uscire e vedersi da fuori non è semplice e non sempre l’effetto fa piacere. Sgretolare convinzioni secolari, punti fermi figli di educazione nazionale o propaganda unilaterale, può lasciare un senso di smarrimento ma anche difesa, avendo l’impressione che un attacco, una critica o un commento non siano diretti al paese ma a voi. Ci saranno differenze tra il paese reale e quello percepito e non reagire sempre a spada tratta non è facile. Siete pronti a voler conoscere un altro paese, il vostro?
5. Gli stereotipi. Ritrovarsi a rappresentare l’Italia tutta, tu, in una sola persona, in conversazioni o rapporti con stranieri, significa anche avere una certa responsabilità, nel confermare o contraddire gli stereotipi con cui gli italiani sono visti dagli occhi altrui e diventare una finestra su un paese che attraverso voi non sarà sicuramente pizza, sole e mandolino, ma non sarà neanche quello reale, perché voi non siete l’Italia tutta né probabilmente la conoscete tutta, voi siete voi, solo che gli altri spesso non lo sanno e vi confondono con un italiano. Siete pronti anche voi a muovere la testa e non solo il corpo?
6. Il lamento. Potreste trasformarvi in un lamento continuo, perché il clima non è ideale, perché i trasporti non sono come immaginati, perché il lavoro è un compromesso, perché il cibo non vi piace, perché non c’è mamma a cucinarvi e perché fuori anche le piccole cose, quelle una volta etichettate come insignificanti, possono avere un peso nella bilancia quotidiana quando si rompono gli schemi e con essi le abitudini e bisogna ricostruire un po’ tutto. E se il lamento non viene da voi, potrebbe venire da vostri connazionali all’estero. Ci vuole resistenza, pazienza e serenità. Pronti?
7. I ritorni a casa. Tornando a casa ci sarà una voce che prima non esisteva nella testa, quella del confronto. Tutto sarà un confronto, nuovo, perché finalmente si ha un termine di paragone. I ritorni a casa, insomma, non saranno mai più gli stessi, rimettendo in discussione molto di quello che precedentemente rappresentava il vostro intorno abituale in un equilibrio oramai rotto. E le vacanze non saranno mai vacanze. Pronti a non sentirvi a vostro agio a casa?
8. I commenti. Diventare italiano all’estero significa anche portarsi dietro una certa lista di etichette, a cui bene o male ci si può abituare con risposte pronte o spallucce veloci. Ci sarà sempre il genio di turno a commentarvi come vigliacco, perché è facile partire e lasciare tutto, è facile criticare il proprio paese da fuori, perché (d’improvviso) non si conosce più il paese non vivendoci realmente o a denigrare il paese da cui venite ed una qualità di vita che non può, in nessun modo, essere superiore a quella italiana. E tante altre storielle che ritroverete puntualmente tra ritorni e chat. Sinceramente, chi ve lo fa fare?
9. Le mancanze. Ci sarà sempre quel momento, quello in cui manca una piazza, una panchina, il sorriso di un amico, la carezza della famiglia o il piatto della nonna, è il problema dell’emigrante, e con esso la voglia di ritornare, il rimorso di non aver fatto quello anziché questo. E ancora, ci sarà la mancanza di quel passato comune di voi verso gli altri e viceversa, quello che solo una cultura comune può costruire e che non troverete in amici stranieri e potrebbe portare rapporti sociali non più lontano di un certo limite. Ve la sentite?
10. Il limbo. Partire è un po’ morire, dicono, e infatti qualcosa muore mentre altro nasce. Partire significa perdere qualcosa della propria nazionalità e guadagnarne un’altra, di cosa, che non ha nazionalità, o le ha tutte. Diventare uno straniero ovunque può però avere effetti collaterali, come non sentir nessun luogo proprio, sentirsi a disagio nell’intorno natio o cadere nella voglia di voler cambiar luogo ogni anno, continuamente, alla ricerca di se stessi quando il signor Se stessi è con voi, basta solo fermarsi ed ascoltarlo. Sicuri di voler iniziare?
Detto questo, la felicità è soprattutto dove vivi. Appena (e se) potete però, fate la valigia e andate via, almeno per un po’, male non vi farà.
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