Archivi del mese: giugno 2020

Colston, Giordano Bruno e Tunisi

Iconoclastia.

Era il lontano 2005 a Cagliari (o forse il 2004, ormai non ricordo). Una serata come altre se non fosse che presenziavo, grazie al gruppo locale dei Radicali, una piccola conferenza sul busto di Giordano Bruno. Pochi sanno che Cagliari aveva l’equivalente sardo del Campo dei Fiori, un busto del frate di Nola che ricordava a chi entrava a Castello attraverso la Porta dei Leoni quanto dolore fu arrecato dal potere temporale della Chiesa di secoli prima. All’indomani dei Patti Lateranensi tra governo fascista e Vaticano un prefetto fascista molto zelota decise che il busto doveva essere rimosso. Non coincideva infatti con la sensibilità dell’epoca. Il Risorgimento era cosa del passato, l’anticlericalismo era considerato come un retaggio barbaro del passato (anche del passato fascista da dimenticare). Il presente esigeva l’igienizzazione del passato, perché la rivoluzione fascista esigeva di riscrivere la storia. E così fu fatto con molti altri busti di Bruno in giro per l’Italia. Si fecero varie riunioni e si decise che però il busto non dovesse venire distrutto ma semplicemente rimosso. Rimase per anni nello scantinato di qualche ufficio per poi dopo la guerra venire esposto all’interno di una facoltà dell’Università in Piazza d’Armi. Chi decise di non rimetterlo nel suo Campo dei Fiori fece un’altra decisione dettata dalla sensibilità dell’epoca. Un simbolo dell’anticlericalismo non doveva essere esposto pubblicamente.

Nel 2006 parto per Bristol, mi aspettano 4 anni di dottorato all’università tra esperimenti, analisi e tanta scienza. Abitavo a 50 metri da College Green. Là a due passi dalla Cattedrale stava la statua di Edward Colston. Ci passavo davanti ogni giorno quando a fine giornata andavo ai canali a prendere un po’ d’aria e sole quando quest’ultimo si degnava di comparire timidamente. A pochi metri dalla statua si trova Colston’s Hall, un teatro dove avrò visto un paio di concerti in tutto. Il nome di Colston si trova un po’ dappertutto, considerato che l’intera Bristol post-medievale e’ stata costruita grazie al suo commercio e alle sue donazioni. Salendo verso St Michael Hill non potevo non notare le centinaia di case, alcune con decorazioni sontuose risalenti a secoli prima. Spesso pensavo a quanta ricchezza Bristol avesse guadagnato dal commercio di spezie e schiavi. Pietre su pietre, bovindo su bovindo, strade su strade. L’intera città era stata costruita sul sangue di decine di migliaia di schiavi. Bristol è una città schiavista, tanto quanto fu Tenocthitlan o la Roma imperiale. Tutti hanno usato il sangue degli schiavi per costruire le proprie case, tutti hanno mangiato dalla loro pelle escoriata, tutti hanno respirato l’ultimo respiro prima che naufragassero nell’Atlantico. E questa ricchezza l’hanno poi data ai propri figli e poi ai nipoti fino ad oggi. Quelle case sono marchiate, quelle strade ancora trasudano del sudore e del sangue di innocenti. E mentre passeggiavo per le strade mi chiedevo se alla fine non fosse immorale viverci in quelle case, fare uso di quella ricchezza dopo 300 anni. Ma era giusto che fossero lì a ricordarmi di quel passato terribile quando gli avi di chi oggi abbatte la scultura di Colston facevano spallucce quando sentivano da dove provenivano i soldi della loro ricchezza. Le stesse spallucce che oggi molti di noi facciamo quando mangiamo carne proveniente dai macelli. Chissà, un giorno qualcuno ci giudicherà per questo e ci cancellerà dalla Storia. Per i futuri zeloti maoisti saremo dei subumani e le nostre vite verranno definite da questo o quel fatto che in futuro sarà considerato immorale.

Avremmo potuto radere al suolo Auschwitz e invece abbiamo deciso di inviarci le scolaresche per imparare dagli errori del passato. Potremmo riempire i musei di statue che rappresentano un passato oscuro ma non possiamo, non dobbiamo gettarle nell’oblio di un canale, facendo finta che non appartengano alla nostra storia, inclusa quella dei propri antenati. Oppure potremmo arricchire quegli spazi occupati da queste statue con altre che facciano da contraltare o come ha suggerito Banksy rimettere la scultura di Colston al suo posto e aggiungere le sculture dei manifestanti che tentano di buttarla giù. Racconterebbe una storia, darebbe un messaggio invece che relegare tutto all’oblio.

Responsabilità collettive.

Giusto qualche mese prima che partissi per Bristol andai a Tunisi in catamarano. Dal Sulcis alle coste del Nord Africa sono appena 250 Km. Molte delle ricchezze della Tunisia derivano dalle “corse”, ovvero gli assalti dei saraceni alle coste del Sud Italia, inclusa la Sardegna. Vi sarete sicuramente chiesti per quale strano motivo i sardi non vivano sulle coste, non mangino cibo di mare e molti della vecchia generazione non sappiano nuotare. Il motivo è che quelle scorribande hanno lasciato il segno indelebile sulla geografia, cultura e abitudini del sud dell’isola.

I sardi, insieme a siciliani e calabresi, erano le prede più ambite da rivendere nei mercati del Nord Africa e Istanbul. Si stima che l’1% della popolazione sarda dell’epoca sia stata rapita e poi venduta come schiava nei mercati dell’Impero Ottomano. Le strade e le case di Tunisi e Algeri sono fatte del sangue di migliaia di sardi e di altri europei. Allo stesso tempo mentre Edward Colston vendeva schiavi neri alle colonie americane, gli ottomani vendevano i sardi per i lavori più umili nell’Impero. Eppure, non mi verrebbe mai in mente di incolpare i tunisini e gli algerini di oggi per la tratta degli schiavi dei miei antenati. Mai mi verrebbe in mente di abbattere le mura della medina di Tunisi, costruita col sangue dei miei antenati. Mai mi verrebbe in mente di chiedere agli odierni tunisini di inginocchiarsi in segno di perdono. Non esiste argomento più razzista di quello che vuole accomunare i peccati di un individuo al suo popolo o civiltà o razza, non esiste argomento più ignobile di quello che vuole che i figli paghino per i peccati dei padri. Ricordatevi che ognuno di voi non ha responsabilità per quello che vostro padre o nonno hanno fatto. Chi vi dice il contrario e vi costringe ad inchinarsi è il peggior razzista che esista, un barbaro che non merita neppure di essere considerato come interlocutore. È lo stesso argomento che ha portato gli ebrei ad essere perseguitati per millenni in Europa, rei secondo i cristiani, di aver crocifisso Cristo. È lo stesso argomento che ha portato la donna ad essere stata umiliata e considerata colpevole di aver colto la mela dall’Albero della Conoscenza dell’Eden.

Ne avrete sentite decine di commenti su questo argomento ma prima di additarmi come il solito “bianco privilegiato borghese” permettetemi di parlare. Mi trovo in una posizione singolare per vari motivi: non solo perché la mia prima esperienza politica riguardò l’iconoclastia, ho vissuto a 50 metri da Colston, ho vissuto nelle case degli schiavisti, sono un appassionato di Mesopotamia e ho sofferto come un cane nel vedere l’ISIS distruggere i monumenti di Ninive, ma anche perché sono soprattutto uno scultore. Creo le sculture, le faccio nascere dalla pietra con rivoli di sudore, sacrificio e perfino sangue dei miei calli. Permettetemi di inorridire nel vedere qualcuno che le abbatte quelle sculture. Chi crede di essere nel giusto, anzi IL giusto, il zelota, il giacobino, lo studente delle madrasse, il maoista della rivoluzione culturale, il prefetto di Cagliari che rimosse il busto di Giordano Bruno, incomincia ad abbattere statue, poi simboli e poi la finisce con libri e persone. Non si ferma alla distruzione ma punta all’oblio e alla rieducazione di chi non la pensa come lui. E i molti esempi di questi giorni di titoli cinematografici rimossi o modificati da servizi digitali lo dimostrano. Guai a continuare su questa china, altrimenti Fahrenheit 451 invece di essere un ammonimento servirà come un manuale.

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