Ho vissuto in due paesi europei diversi – in UK per quasi 7 anni-, e ho fatto anche da scrutinatore ad una elezione, e credo di avere una certa esperienza con gli italiani all’estero, con le loro aspirazioni, i loro problemi e in definitiva il loro voto. Ora cercherò di spiegarvi il voto degli italiani all’estero.
Primo partito è sempre il centrosinistra. I motivi sono vari:
1) gli elettori di centrosinistra sono molto attivi in politica e lo sentono come un dovere civico; per avere il diritto al voto all’estero bisogna fare iscrizione all’AIRE, avvertire continuamente del cambio di residenza (e quando si è immigrati si cambia spesso!) e andare ad imbucare una lettera. Un processo che solo una persona interessata alla politica in genere fa.
2) La Repubblica.it. Questo è a mio parere il fattore più determinante. Gli italiani all’estero leggono i giornali online e La Repubblica è quello più letto, linkato su Facebook ecc. Non chiedetemi perché ma è così. L’italiano all’estero è ossessionato dalla percezione che ha il suo paese ospitante dell’Italia. Il problema è che all’estero ci conoscono solo per i disastri di Berlusconi e i colleghi di lavoro ridono continuamente di lui e dell’Italia. La Repubblica gli dà la possibilità di indignarsi di quello che succede in Italia per avere la coscienza pulita.
3) la composizione dell’elettorato è molto diversa in termini di fasce d’età. Chi emigra in genere è giovane o non oltre i 40 anni. Il centrodestra in genere prende voti dalle fasce d’età più alte.
Dopo questo vengono i partiti di centro e di centrodestra. Ma dopo ancora viene il nocciolo duro degli immigrati sudamericani e dei vari partiti legati a doppio filo alle associazioni culturali italiane all’estero (Brasile, Argentina, Uruguay soprattutto). Questi partiti sono in genere fondati da vecchiacci di seconda o terza generazione che a malapena sanno parlare l’italiano. Questi partiti prendono centinaia di migliaia di voti dai club e dalle associazioni legate poi anche alle ambasciate. Non solo ma elettoralmente godono dello ius sanguinis, ovvero della possibilità di dare la cittadinanza a figli o nipoti nonostante questi non siano mai nati in Italia, vissuti in Italia o parlino l’italiano. Ne ho visti a centinaia in UK, manco sapevano dire buongiorno, quindi immaginatevi il bacino di elettori che hanno in Sud America. Per questi italiani di seconda e terza generazione l’elezione è un modo di mantenere un legame con la patria dei genitori o nonni e di avere la coscienza a posto con la propria identità (“non so dire una parola di italiano ma almeno do il voto!”). Non sanno assolutamente nulla dell’Italia, di quello che stanno votando. Tutto quello che hanno sono i racconti dei nonni di qualche paesino calabrese sperduto nelle montagne e quello che sentono nelle TV del proprio paese. Per loro l’Italia è uno stereotipo, un sogno, una terra promessa. Per questi partiti (MAIE, USEI, Unione Italiani Sud America ecc.) è facile raccogliere migliaia di voti per ogni circoscrizione.
C’è anche da considerare un altro fattore: per esperienza diretta le percentuali di italiani all’estero che si iscrivono all’AIRE sono bassissime. Sono veramente pochi gli studenti o i lavoratori stagionali che si iscrivono all’AIRE. Nonostante sia un dovere del cittadino (tra l’altro non capisco che succede se ti beccano a vivere all’estero senza iscrizione all’AIRE. Arresto? Multa?) quasi nessuno lo fa. Anche perché neppure le autorità italiana sanno cosa significa essere iscritto all’AIRE. In pratica si è in una sorta di limbo fiscale, una sorta di apolidia legalizzata ma di questo ne parlerò un’altra volta.
Questo spiega la bassissima percentuale di votanti grillini, un voto che è spesso legato alle fasce d’età giovanili, quelle stagionali o di studenti che appunto non si iscrivono all’AIRE.