Archivi del mese: novembre 2012

“15 million years ago the planet was covered in apes”

“15 milioni di anni fa il pianeta era ricoperto di scimmie antropomorfe.” Questa frase trovata in un articolo del New Scientist mi ha spinto a scrivere questo breve post che volevo scrivere da mesi ma non trovavo l’ispirazione.

Stiamo, forse, lentamente venendo a capo della straordinaria avventura che ci ha portato dopo milioni di anni a quello che siamo, Homo sapiens. Gli ultimi 15 anni hanno visto tali scoperte nel campo della paleoantropologia da far sembrare i duecento anni precedenti come i primi passi di una scienza quasi bambina. Non solo il ritrovamento di tantissime specie nuove nella famiglia degli ominidi ma anche, e soprattutto, una più precisa ricollocazione spazio-temporale di queste. L’uso della genetica sui resti fossili poi ha contribuito e non poco a capire le relazioni tra le specie in questione. Ma partiamo dalla scoperta forse più eclatante: la probabile ibridazione tra Neanderthal e Homo sapiens. Si pensa che tra l’1 e il 4% del DNA delle popolazioni eurasiatiche derivi dall’ibridazione con Neanderthal. La cosa interessante è che le popolazioni subsahariane sembrano non essere state interessate da questa contaminazione. Al contrario si pensa che nell’Africa subsahariana ci sia stata un’altra ibridazione con altri ominidi. Nello stesso tempo in Asia e Oceania vi è stata probabilmente una ibridazione tra H. sapiens e Denisoviani, una nuova specie scoperta in Asia contemporanea di H. sapiens e che ha contribuito al 6% del genoma delle popolazioni odierne della Melanesia e degli aborigeni australiani. H. erectus inoltre era contemporaneo di H. sapiens in Asia.

Ciò che si delinea è un mondo complesso fatto di decine di specie che vivevano l’una affianco all’altra, spesso in pace e accoppiandosi, altre volte competendo per le risorse. Dobbiamo immaginarci un mondo fatto di ominidi che migrano continuamente, che si spostano in base ai cambiamenti climatici e ai movimenti delle prede. Spesso l’incontro tra diverse specie è pacifico e ci si scambiano conoscenze e geni, altre volte è il più forte a vincere e una delle popolazioni soccombe. Forse è questo il segreto dell’H. sapiens: aver incontrato altre specie nate dalla stessa fucina di ominidi dell’Africa orientale con cui scambiare conoscenze e geni. Mi immagino i Nenderthal, i primi europei così esperti nel vivere in condizioni climatiche estreme dopo aver vissuto tante glaciazioni; me li immagino mentre incontrano gli H. erectus ai confini con l’Asia, gli H. sapiens dal medioriente e dal nordafrica; e dal nord i devoniani che però poi si spostano verso sud-est. Deve essere stato un periodo di incredibili scoperte tecnologiche, di scambi culturali o anche solo di popolazioni che dopo aver sterminato gli avversari hanno cercato di copiare le tecniche del nemico appena decimato. E i geni! Frutto di stupri o di vere e proprie alleanze tra specie? E la loro progenie con tutte le caratterstiche delle varie specie. Altro non siamo noi moderni H. sapiens che la progenie di quel crogiuolo di ominidi. E mi piace pensare che le differenze che vediamo nelle più grandi popolazioni odierne, caucasica, mongoloide e negroide, siano il frutto dell’apporto di geni di differenti specie: caucasici con H. neanderthaliensis e forse erectus; asiatici con H. erectus; aborigeni e melanesiani con i denisoviani; e gli uomini dell’Africa subsahariana con specie che non abbiamo ancora scoperto o classificato.

Qualsiasi mito delle origini a cui i moderni umani hanno sempre creduto -che sia il giardino dell’Eden e il mito della costola o qualsiasi altra favola a cui ancora molti credono- è niente in confronto a questo scenario di una bellezza così devastante- così mindblowing!- che ci racconta di una origine così policentrica, così straordinaria. Siamo figli di più padri e più madri di differenti specie e non c’è notizia più bella per un bambino così giovane come l’Homo sapiens.

18 commenti

Archiviato in scienza, spunti di lettura e scrittura

Son tutti graffittari col muro degli altri

Famoso negozio di punkabestia/newage/metallari/alternativi/punk ecc. di una media città italiana. Si vende di tutto, dalle magliette ai piercing, da chincaglieria gothic a “altre cose che è meglio non nominare se no gli sbirri…”. Ritrovo della scena alternativa cittadina, anche di graffittari, perfino di graffittari dai parenti famosi a livello nazionale. Facciata della palazzina del negozio appena tinta di fresco – c’è da meravigliarsi della cosa!- assisto ad una scena che ha dei risvolti pedagogici da non sottovalutare. Il proprietario (anche lui un veterano del mondo alternativo) becca un ragazzino (15 anni?) in pieno giorno che con un pennarello è intento a lasciare la sua Cappella Sistina ai posteri sulla parete immacolata. Lo rimprovera dicendogli “ma lo sai quanto mi è costato dipingere questo muro?” e quello risponde “ma dai ******* lo facciamo dappertutto” (sbaglio o gli stava scappando un “proprio tu?”, o forse me lo sono immaginato io). “Questa è proprietà privata, sai quanto mi è costato pitturarlo?”. E così via fino a che un aiutante esce fuori con uno straccetto e tenta inutilmente di eliminare il tag.

La scena aveva un non so che di ridicolo e perfino i personaggi coinvolti si sentivano un po’ goffi in quella parte. Chissà se il proprietario del negozio si è reso conto che, sì il suo muro è privato e ci ha speso soldi e fatica a pitturarlo, ma quanti giovani graffittari serve ogni giorno da dietro il suo bancone? Quanti altri muri privati vengono violati dal fratello di quel famoso cantante lì? Sì quello lì, quell’amico che bazzica sempre in negozio? E ha mai dato uno sguardo alla sua città ricoperta di orribili tag lasciati sui muri privati, pubblici e sui monumenti?

6 commenti

Archiviato in Uncategorized

Quello che non vi hanno mai insegnato al corso d’inglese: il maledetto th

Cari affezionati ascoltatori, ecco che riprendiamo la fortunata serie “Quello che non vi hanno mai insegnato al corso d’inglese”. Per le altre puntate potete andare qui, qui, qui e qui. Ne approfitto per dire a tutte le maestrine d’inglese che continuano a commentare nei post precedenti che non me ne importa un fico secco delle vostre abilitazioni ufficiali, lauree quinquennali e master, timbri, timbrini e 5 mesi di college a Cambridge. Non sono quei foglietti a darvi autorità ma l’esperienza su campo e soprattutto capire che l’italiano medio ha esigenze diverse da altri tipi di studenti.

Oggi parleremo del digrafo th, che gli italiani raramente riescono a pronunciare bene. Ma questa volta siamo in buona compagnia. L’insegnamento di una lingua deve essere come l’accoppiata diagnosi-cura del medico: bisogna diagnosticare la malattia (la lingua madre di appartenenza) e dare una cura adeguata (una lezione specifica per quel tipo di madre lingua). Ecco perché i corsi d’inglese in Italia non servono a nulla: perché sono fatti e pensati da autori di Oxford per i madrelingua, non per gli italiani. Quasi tutti i popoli delle lingue più diffuse hanno grossi problemi con questo suono. I tedeschi per esempio sono lo zimbello degli inglesi da questo punto di vista. “Ze pen is on ze table.” O come in un famoso e spassosissimo commercial “What are you sinking about?” del video qui sotto.

Gli spagnoli e i greci se la cavano abbastanza bene, complice l’uso di suoni simili nelle loro lingue (per lo meno nel madrileno e nel castigliano standard la pronuncia della c è simile a quella del th; per i greci la pronuncia della theta). I francesi sono simili a noi invece: non riuscendo a pronunciare th utilizzano t, f o v.

Ma come diavolo si pronuncia questo th? Per essere completamente padroni di questo suono senza doverci pensare ogni volta ci vogliono anni. Questo suono è così complesso che perfino i bambini di lingua madre inglese lo imparano come ultimo intorno ai 5-6 anni d’età. Addirittura ci sono regioni dell’anglosfera (paesi del mondo dove si parla inglese) in cui non si pronuncia correttamente confondendo per omofonia il suono th con f o v, esattamente come gli italiani.

Quello che dico sempre ai miei studenti immaginari è: fate finta di avere un pelo o un pelucchio sulla punta della lingua e cercate di  sputarlo via in maniera cortese, come se foste al teatro o ad una riunione. La punta della lingua deve stare tra gli incisivi appena separati e le labbra devono aprirsi per emettere un suono a metà tra la effe e la ti. Col tempo l’effetto “sputo” svanirà e vi sembrerà naturale.

Non bisogna avere alcuna vergogna nell’esagerare questo suono. Tirate fuori la punta della  lingua completamente, mettetela tra gli incisivi e pronunciate una effe. La punta della lingua si deve vedere. Anzi più è teatrale più farete la parte del “posh english”. Gli inglesi inoltre quando vogliono sottolineare una parola con connotati negativi esagerano con la fuoriuscita della lingua come in filthy, o loath. Guardate questo video e soprattutto a 0:19 come la lingua dell’attrice esca fuori tra le labbra.

Oppure qui. Guardate come la lingua esca fuori tantissimo dalle labbra quando pronuncia “nothing” e “anything”. In questa situazione l’attrice voleva sottolineare quella parola per enfatizzare che non ha visto proprio “niente”.

Nel fermo immagine che ho preso da questo video di Lost si vede la stessa attrice che pronuncia “three o’clock in the morning”. Guardate quanto la lingua è fuori dalle labbra. Questo è normale in certe situazioni e a mio parere gli studenti dovrebbero esercitarsi così.

Di nuovo, non mi ricordo di una lezione apposita su questo suono nella mia esperienza scolastica con quasi dieci insegnanti. Io farei almeno due lezioni solo per esercitare gli studenti con questo suono. Tipo pronunciare a ripetizione: heathen, sixth, haywards heath (così si esercitano con l’uso di h e th). E poi ogni volta che si entra in classe “Good morning professor sixth heathen haywards heath” da pronunciare velocissimevolmente.

Nella mia esperienza poi gli italiani pronunciano il suono th come t o v quando si trova all’inizio della parola (the, their, them ecc.) mentre quando si trova alla fine come una f (bath, both, month). Quando si trova invece in mezzo come una d (father, mother, brother). Quindi, qui un buon insegnante d’inglese non si deve limitare ad insegnare il suono th. Deve anche operare in maniera distinta come un chirurgo a seconda delle parole. Deve correggere e far esercitare gli studenti in base alla posizione del th nella parola perché gli studenti italiani tenderanno a scambiare i vari suoni a cui sono familiari -t, v, f e d- con il th.

Alla prossima!

11 commenti

Archiviato in affascinante guida alla lingua inglese, quello che non vi hanno mai insegnato al corso d'inglese

Non imparerete mai

Credo di poter parlare con alle spalle una esperienza quasi decennale. Quattro aerei al mese in media, pernottamento in un hotel per almeno 3 notti, se non a volte addirittura due hotel. Mezza Europa tra aeroporti e hotel, USA e recentemente Sud America. Un continuo check-in, check-out, hold luggage, breakfast at 7:00, terminal, treni, taxi, macchine in affitto.

Ecco dopo tutto questo posso dimostrare scientificamente che l’Italia è il peggior paese occidentale in cui io sia mai stato dal punto di vista logistico, turistico, dei servizi e del trasporto. Gli aeroporti sono risibili in termini di servizi, di organizzazione e di comunicazione. Sembrano dei capannoni deserti con delle porte e quattro stand (manco shops) di plastica sempre chiusi. Atterri in questi aeroporti che manco in Ruanda, il pulmino ti porta al controllo passaporti dove ci sono due coglioni di Carabinieri che fanno finta di lavorare. Fanno finta di guardare i passaporti, l’occhio va solo alla data di scadenza, a volte mi viene la voglia di mettere una carta d’identità falsa e scrivere Cicciolina ché son sicuro che nessuno se ne accorgerebbe. Appena vedono un “negro”, che per loro è pure un indiano insomma qualcuno di più scuro di un calabrese lo fermano e gli fanno il terzo grado. Per il resto è il lavoro meglio pagato al mondo. Non fai un cazzo dalla mattina alla sera e fai battutine idiote sulle turiste inglesi col collega.

Passata questa parte penosa si passa al ritiro bagagli, il più lento del mondo. Esci dal ritiro bagagli e ti trovi in queste sale vuote dove ad accoglierti c’è…il nulla. Tutto chiuso, quando c’è qualche servizio o bar. Perché a volte non c’è un emerito cazzo. Nessuno a cui chiedere informazioni. Nessun cartello. Vedi centinaia di stranieri che come te brancolano nel buio perché le indicazioni su dove siano il rent car o la fermata del bus sono un optional. E quando trovi il povero spazzino che viene assalito da centinaia di turisti ti fa “E’ lì no!” come se fosse chiaro a tutti che la fermata del bus si trova a due chilometri dal terminal. Vedi questi poveri inglesi, cinesi e americani che si trascinano valigioni verso una meta al buio e sotto la pioggia. Una meta dove dovranno aspettare forse un’ora prima che arrivi uno shuttle o un bus che ti porteranno in cui meravigliosi ricettacoli di zecche e piscio che si chiamano stazioni centrali dei treni italiane (poi da lì altra inculata con il fischio col tassinaro locale fino all’hotel). E non parlo di Lamezia Terme che è un aeroporto locale di tutto rispetto. Parlo di aeroporti come Malpensa, Firenza, Venezia. Una vergogna.

Arrivi in hotel e ovviamente il wifi è a pagamento. L’unico paese del pianeta in cui negli hotel internet è ancora a pagamento. Assurdo. L’ultimo in cui ora risiedo l’ho scelto perhé aveva wifi gratuito. Ma ovviamente c’era l’inculata: mi danno account e password (chilometrici) che durano un’ora. Tutto quello che non hai salvato viene perso perché ti compare un messaggio “il tuo tempo è scaduto”. Passata l’ora devo inserirne degli altri. Giù nella hall hanno una pila di fogli A4 pieni di questi codici. Me ne danno una decina perché sanno che li utilizzerò tutti. Non so se ridere o piangere. Hotel 4 stelle in centro a Milano. Da non crederci. Parcheggio a pagamento, ovvio. Quando mai in un hotel ti danno il parcheggio gratis! 20 euro al giorno. Anche questo mai visto fuori dall’Italia.

Un altro problema di questi trogloditi dell’accoglienza è la temperatura delle stanze. Ti fanno credere che tu abbia il potere di controllarla tramite il piccolo display vicino alla porta e invece no. Ed è sempre centralizzato e lo mettono a palla. Se soffoco io figuriamoci un inglese.

Che piacere venire in Italia ogni volta!

8 commenti

Archiviato in Uncategorized

Il qualunquismo qualunquista e il populismo populista

Non mi si può di certo considerare un supporter di Grillo ma trovo insopportabile la continua critica da parte di politici, media e gente comune nei suoi confronti. In particolare l’uso continuo di termini come populismo, qualunquismo e antipolitica sulla bocca di alcuni sono indecenti. L’intero spettro parlamentare italiano vive di populismo e qualunquismo e queste persone non fanno altro che fare come la vacca che dice cornuto al toro. (A parte che le parole dette continuamente perdono qualunque significato o addirittura si abbrutiscono. Mi ricordo quando c’era il dibattito tra cattolici e laici anni fa, questi ultimi utilizzavano la parola “becero” continuamente. Orribile!).

In più non hanno ancora capito che più ne parlano più lui prende voti, e più ne parlano male più diventa un martire. Penose poi le pagine dei giornali: posso capire dal Corriere ma da Repubblica assistiamo ogni giorno a dei pezzi che hanno del clamoroso. Quelli di sinistra hanno marciato sull’antipolitica quando c’era Berlusconi e ora… è la politica a diventare il Santo Graal!

Non capisco poi perché da Grillo si pretendano coerenza e perfezione quando per 50 anni abbiamo votato per figli di puttana che sono cento volte peggiori. E’ lo stesso effetto psicologico antiradicali. Siccome i Radicali si presentavano come quelli puliti e i “buoni” della politica allora vengono ancor più scrutati e non gliene fanno passare una. Tanto vale fare i cattivi per contratto, così nessuno ti può dire niente. E infatti fare il cattivo dichiarato in politica conviene perché la gente non può farti la solita tiritera “eh pincopallino predica bene ma razzola male”. In politica, e ancor più in democrazia, conviene essere un pincopallino che predica male e razzola male.

5 commenti

Archiviato in Uncategorized

Make Peace

Ho sempre avuto un grande rispetto per il vegetarianismo -nonostante io non sia neanche lontanamente un vegetariano- e spero che in futuro la scienza ci possa dare la possibilità di produrre proteine in laboratorio senza dover uccidere animali – ma già lì sento gli ambientalisti del futuro che si lamentano del cibo Frankestein costruito in laboratorio, ma questa è un’altra storia.

Dicevo il vegetarianesimo è una filosofia da rispettare sotto tanti punti di vista ma ho grandi difficoltà ad accettare l’alimentazione vegan (per chi non la conoscesse significa: niente carne o qualsiasi altro derivato da animali come latte, uova ecc.).

Sono venuto in possesso di un piccolo volantino di BeVeganMakePeace.com che pubblicizzava il veganesimo e tra i tanti punti positivi (a loro dire) di una dieta vegana come l’abbassamento dell’inquinamento a causa dei gas serra e della deforestazione (questi sono veritieri) ce ne sono alcuni che mi paiono senza alcuna base scientifica e perfino contro producenti per gli stessi animali.

Per esempio, secondo i vegani del volantino una dieta vegan contribuisce ad un miglioramento dell’umore e del sistema immunitario. Sul primo mi pare che ci siano pochi studi e l’umore è anche un parametro difficile da misurare, ma sul secondo ho dei grossi dubbi. Un vegano sicuramente può vivere esattamente come un vegetariano o onnivoro nel 2012 ma da qui a dire che la dieta vegana aumenta il sistema immunitario ce ne vuole. Per non parlare poi dei proclami un po’ new age del veganismo come cura contro il cancro. Insomma c’è tanta fuffa e mi pare che i vegani siano una sorta di branca new age del variegato mondo degli acarnivori.

Un altro punto che mi ha fatto molto pensare è: dicono che se il mondo diventasse vegano 64 milioni di animali ogni anno verrebbero salvati dal macello. E’ vero, ci mancherebbe, ma mi chiedo che fine farebbero questi animali se il loro consumo calasse o venisse meno completamente. Sappiamo che fine fanno le razze di animali domestici che non vengono più allevate o macellate: si estinguono. Secondo la FAO ci sono 4000 specie o razze domestiche attualmente e in un mondo prevalentemente onnivoro un terzo di queste sono a rischio d’estinzione. Negli ultimi 100 anni 1000 specie domestiche si sono estinte. Motivo? Appunto il mancato uso umano e l’utilizzazione di poche specie globalizzate. Per la maggior parte la reintroduzione in natura è impossibile dopo decine di migliaia di anni di domesticazione, per altre andrebbe bene ma in ambienti non naturali per loro.

Insomma un mondo vegano sarebbe un mondo con 4000 razze di animali in meno. E questo potrebbe accadere anche in un mondo dove le proteine vengano prodotte in laboratorio. Insomma quello che a me pare è che i vegani, così come molti vegetariani, abbiano più un problema col concetto di morte che con la carne in generale. Mi spiego: ormai nel 2012 la morte nelle nostre società è quasi invisibile. I malati vanno direttamente in obitorio nascosti alla società o addirittura ai parenti; le guerre nelle nostre società non esistono più e quelle che facciamo dall’altra parte del mondo sono sterilizzate dalla morte che non vogliamo vedere; gli animali vengono macellati lontano dai nostri occhi e vediamo solo fettine in scatole di polistirolo. La morte è diventata tabù. In una società così perfino il naturale processo di predazione e di selezione degli individui più deboli viene visto come un abominio. Ora questi 64 milioni di animali domestici che uccidiamo ogni anno, che cosa dobbiamo farcene se diventiamo tutti vegani?

Non possono essere reintrodotti in natura perché distruggerebbero il territorio non essendoci più grandi predatori, molti morirebbero di stenti, altri sopravviverebbero e incomincerebbero a riprodursi a dismisura come è successo con i conigli in Australia o con gli erbivori di Yellowstone (hanno dovuto reintrodurre i lupi dal Canada perché la vegetazione di Yellowstone stava soffrendo). Insomma, gli erbivori esistono e si sono evoluti per essere predati. Che ci piaccia o no qualcuno deve controllare il loro numero, noi o i grandi predatori o le malattie. In un certo senso se la macellazione è fatta con tutti i crismi ed è indolore (purtroppo oggi non è così) a mio parere è preferibile una morte data dagli umani che una data da un lupo o da un virus. Inoltre se riuscissimo ad allevare gli animali in modo più “umano” potrebbero vivere una vita eccezionale, nel senso che i loro cugini selvatici se la sognano.

So che questi sono discorsi inutili perché per i vegani il primato dell’etica viene prima di tutto, però sono dei problemi che bisogna considerare. Insomma prima di fare pace con gli animali forse bisognerebbe fare pace con la natura e con la morte.

10 commenti

Archiviato in Uncategorized

“It’s a trap!”

Mentre Sandy si abbatteva sulla costa est degli USA, sulla costa ovest un’altra tempesta ha tenuto svegli milioni di persone in tutto il mondo. Ai non “adepti” quello che è successo l’altro giorno può sembrare come una curiosità da mettere in un trafiletto della sezione cinema di un giornale, ma le implicazioni del passaggio dei diritti di Guerre Stellari alla Disney sono enormi per il cinema hollywoodiano, per l’economia americana e per milioni di fan in tutto il mondo. Se non lo sapete ancora, George Lucas ha venduto i diritti di Guerre Stellari alla Disney per 4.5 miliardi di dollari. Ma non finisce qua: la Disney ha già annunciato una trilogia che farà de sequel alla vecchia trilogia degli anni 70-80. Un terremoto per i fan di tutto il mondo che ora sono divisi tra la gioia e il terrore. Devo dire che io ero tra quelli terrorizzati all’inizio ma poi mi sono ricreduto. Guerre Stellari è già stato sputtannato da George Lucas e quindi più in basso di così non si può; e la Disney ha comprato due anni fa i diritti della Marvel e per ora ha fatto un buon lavoro.

Perché quello che è successo è così importante anche per chi non è appassionato della saga? La Disney è una delle industrie più potenti e ricche del pianeta e qualsiasi nuovo progetto ha delle conseguenze economiche, culturali e perfino politiche non indifferenti. La Disney dopo l’acquisto della Marvel e ora di Star Wars sta puntando ad un nuovo mercato: adolescenti, ventenni e trentenni. Una scelta insolita per il colosso americano ma che gli frutterà miliardi negli anni a venire.

Per quanto riguarda il punto di vista di noi appassionati:

Una delle cose più positive è che quell’idiota di Lucas non ci sarà più, anche se si dice che per contratto supervisionerà il progetto. Ma alla fine sarà la Disney a prendere le decisioni. Questo è un peso enorme che ci siamo tolti dal groppone. Lucas è stato l’inizio e la fine di Guerre Stellari, il creatore ma pure il distruttore. Una figura risibile, contestata e sbeffeggiata dai milioni di fan di tutto il mondo. Credo che la religione di Guerre Stellari sia una delle poche al mondo in cui il suo creatore venga deriso e il suo nome maledetto. Addirittura molti dei suoi seguaci considerano la nuovo trilogia come non-canonica. Questo dimostra che la religione di Guerre Stellari vive di vita propria e non è condizionata da alcuna gerarchia sacerdotale. Esiste una trilogia canonica, una non canonica e apocrifa e una serie di opere minori create dalla base dei fan.

Ecco, la dipartita di Lucas e gli enormi mezzi economici della Disney mi fanno ben sperare ad un grande ritorno della saga più importante del mondo del cinema, una in cui forse potremmo vedere come cammeo Luke Skywalker e la Principessa Leia da vecchi che insegnano ai propri discepoli l’arte di Jedi. Senza midiclorian e Jar Jar Binks questa volta.

8 commenti

Archiviato in Uncategorized