Archivi del mese: giugno 2013

Dhimmitudine

Credo di aver conosciuto decine di musulmani nella mia vita: colleghi, amici di amici, conoscenti ecc. Dal Maghreb al Pakistan, dalla Palestina al Regno Unito (di seconda generazione). Qualche settimana fa però ne ho conosciuto uno, Ali, che mi ha fatto pensare a tutti quelli che ho conosciuto prima – Aziz, Imran, Mamud, Bilal, Mohammed ecc.- perché mi sono reso conto che avevano tutti quanti qualcosa in comune: tutti hanno cercato senza alcun input o iniziale apertura da parte mia di o convertirmi o di giustificare la loro fede.

Mi spiego meglio.

Per giustificare la propria fede intendo anche il far notare agli altri che sono musulmani. Poi sottolineare il fatto che loro sono parte di una comunità e che tu fai parte di quell’altra e che quindi esiste un divario insormontabile. Si scherza, si gioca ma alla fine nei loro discorsi c’era e c’è tuttora un muro noi=voi. A volte ho chiesto cosa intendessero con “voi”, perché è un plurale molto vago. Le risposte sono state a volte precise, altre volte vaghe: cristiani, occidentali, tutti gli altri eccetto i musulmani. Inutile far notare che cristianesimo e occidente spesso non coincidono.

Non mi è mai capitato niente del genere con i cristiani, gli induisti, i buddisti, i sikh o i non credenti che ho conosciuto. Nessuno mi ha mai fatto notare il divario noi=voi, nessuno mi ha mai fatto notare che nel privato professavano tale religione. A parte i sikh (col turbante) e le donne indù con il bindi (il segno rosso in fronte) sarebbe stato difficile capire l’affiliazione religiosa di qualcuno. Ma con i musulmani che ho conosciuto nessun problema: te lo sbattono in faccia appena possono e in qualsiasi momento.

Il comportamento poi è tra i più maleducati possibile perché non ti fanno solo notare che loro sono musulmani ma che purtroppo tu non lo sei. Povero, mi spiace, non ci sei ancora arrivato ecc. Questi sono i neanche tanto velati commenti che si possono leggere tra le loro parole. Perché è chiaro che non solo la loro fede è orgogliosamente pubblica ma è anche l’unica, l’ultima e migliore in assoluto.

Quando però si rendono conto di stare di fronte ad uno che sa e capisce di Islam gli si illuminano gli occhi. Quando conversi e parli con loro di questioni politiche mediorientali che un inglese medio non conosce, di tradizioni islamiche ignote all’inglese medio, o delle varie correnti interne (sunniti, sciiti, sufi, wahabiti ecc.) pensano di trovarsi di fronte ad un simpatizzante della loro causa (causa? che causa?) e incomincia l’approccio da conversione.

“Un giorno ne parliamo bene.” “Ti presto questo libro.” “Ti interesserebbe questo gruppo.” ecc. ecc.

Ogni volta rifiuto gentilmente facendo notare che la mia è curiosità generale, quasi enciclopedica, non ricerca spirituale. Ma loro non demordono. Hanno capito che non faccio parte del “voi” generale ma non accettano il fatto di aver perso una preda facile.

Una preda facile persa con un miliardo di anime già dalla propria parte. Ingordigia? Desiderio totalitario? O semplicemente voglia di condivisione?

Ah, dimenticavo: solo un amico algerino che ho conosciuto in Svezia non mi ha mai fatto sentire inferiore né ha tentato di convertirmi. Rafiq infatti era un non credente. Metallaro per giunta.

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Dissociative identity disorder

p37jericho%25231%2523Chiesa evangelica in una media città britannica. Concerto per violini della Young Orchestra. Bravi, veramente bravi questi bambini ma tra una pausa e l’altra mi leggiucchio la Bibbia che ognuno ha di fronte a sé nella spalliera della fila davanti. Apro il Genesi e leggo la classica parte “The earth was without form and void and darkness was over the face of the deep.” Bellissimo poetico incipit! Ma lo conosco già a memoria (per lo meno quello inglese). Apro a caso e mi capita una parte dove la divinità ordina a Mosè di seguire la sua via e solo quella. Se lo farà vivrà felice e la sua famiglia con lui, se non lo farà “you will be destroyed”. Gasp! A little bit rude!

Apro di nuovo a caso (senza scherzi, a caso) e mi trovo sempre la stessa divinità che come un generale d’armata spiega a Joshua cosa deve fare per conquistare Gerico, come metterla a ferro e fuoco, come uccidere uomini e donne e animali e soprattutto come salvare gli ori e gli argenti per la sua gloria.

Alcune pagine dopo spiega come conquistare la città di Ai e dopo averla conquistata ordina di uccidere tutti e distruggerla “affinché rimangano solo rovine.”.

Queste letture mi rovinano la serata, soprattutto con le note di Beethoven in sottofondo. Chiudo il libro dell’orrore e alzo lo sguardo: sulle navate in grandi lettere blu in Comic sans (i protestanti hanno l’abitudine di scrivere le frasi sacre con font ridicoli per bambini!): God is love, god is peace. But WTF!?!? Ma cavolo (!) avete centinaia di bibbie in questa chiesa, fate finta di leggerle ogni giorno e io in cinque minuti aprendo a caso ho trovato tre episodi di violenza pura, tra cui due olocausti ordinati dal vostro dio per puro sfizio. E sono solo alcuni episodi: ce ne sono a decine di questi episodi in quel libro che giustificano violenza “a catinelle” e voi mi scrivete Peace and love sui muri?

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Altre considerazioni sulla recente moria di api domestiche

honeycomb-reso-rex460Prima che incominciate a leggere questo post forse è meglio che diate uno sguardo prima a questo dove spiego la mia posizione al riguardo del cosiddetto “declino” delle api a livello mondiale.

Mi rimetto a scrivere su questo argomento perché nelle ultime settimane sono stato bombardato dai media riguardo al CCD e alla cosiddetta congettura api estinte=fine agricoltura (con Apocalisse in omaggio tipica degli ambienti ecologisti). Per prima cosa evitiamo di usare il termine estinzione in questo caso. Un termine che ho sentito più volte e che ha del ridicolo. State tranquilli le api domestiche non si estingueranno e di certo non lo faranno a causa del CCD. E anche se lo faranno sono pur sempre api domestiche, ovvero senza l’uomo non esisterebbero e sopravvivrebbero. E il pianeta continuerebbe a vivere come ha sempre fatto da milioni di anni.

Nell’ultimo documentario che ho visto della BBC però ho trovato delle informazioni che mi hanno fatto venire un dubbio: se è vero che gli apicoltori stanno soffrendo perdite dell’80-90% (ed è vero) di api, secondo la congettura no api=fine agricoltura dovremmo trovarci di anno in anno con meno piante impollinate, meno frutti e vegetali. Ma soprattutto dovremmo vedere i prezzi delle colture che dipendono dalle api schizzare al cielo.

E questo è successo? La risposta è negativa. La produzione di frutta e vegetali non si è fermata, anzi sta crescendo di anno in anno in tutto il pianeta. I prezzi sono stabili o addirittura sempre più bassi grazie alle tecniche sempre più sofisticate di produzione e commercializzazione. Ma ho bisogno di un esempio pratico per farvi credere questo giusto? E allora andiamo a vedere ciò che succede in California con le mandorle. Secondo il documentario della BBC ogni anno 1 milione di arnie vengono spostate a Febbraio in California per l’impollinazione dei mandorli, una delle colture più redditizie della California. Secondo gli apicoltori negli ultimi 5 anni le api morte sono state l’80% e sempre secondo gli apicoltori senza api le mandorle non si producono. E via immagini di arnie deserte, api morte ecc. Questa congettura no api=no impollinazione viene ripetuta a pappardella così tanto da apicoltori, commentatori e giornalisti che viene presa come assodata. Eppure nessuno si è preso la briga di controllare se davvero la produzione di Immagine1mandorle si sia fermata negli ultimi 5 anni. Non lo hanno fatto alla BBC ma l’ho fatto io. Secondo i dati del United States Department of Agriculture-National Agricultural statistical Service (consultabile qui) la produzione di mandorle in California è raddoppiata dal 2005 in poi ed è passata da un milione di libre nel 2005 a 2 milioni di libre nel 2013. E questo, dice il report, nonostante uno degli inverni più duri degli ultimi anni che hanno costretto le piante a fiorire due settimane in ritardo rispetto al normale. La superficie di coltivazione è aumentata da 580mila nel 2005 a 800mila nel 2013. Lo stesso trend (verso l’alto) vale pure per mele e pere (altamente dipendenti dall’impollinazione apiaria). Un osservatore esterno che non fosse al corrente della CCD potrebbe anzi credere che ci sia stato un aumento del numero di api!

Ora le cose sono due: o abbiamo sopravvalutato l’impatto che l’ape domestica ha sull’impollinazione oppure come dicevo nell’altro post il numero di colonie di api domestiche è troppo alto, e il tipo di apicoltura intensiva sta trasportando virus e parassiti che alla lunga sono mortali per le colonie. Sempre parlando di quello che succede in California, dove l’85% delle mandorle mondiali è prodotto, ci rendiamo conto di quello che gli apicoltori intensivi fanno ogni anno in questo report della BBC di Marzo. Ogni arnia è pagata 200 dollari a stagione, quindi potete capire che c’è un incentivo enorme per questi apicoltori per produrre colonie in maniera intensiva senza rendersi conto di quanto stiano indebolendo le colonie, trasferendo virus e parassiti da una parte all’altra del pianeta e aumentando il numero di api artificialmente. Le api nel mondo non stanno morendo, sono semplicemente troppe e mal gestite.

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Una epidemia endemica tutta britannica: food poisoning

food_poisoningNel Regno Unito esiste una epidemia continua da cosiddetto food poisoning, letteralmente avvelenamento da cibo, in italiano intossicazione alimentare. Si stima che 5 milioni di britannici abbiano almeno un caso di intossicazione alimentare all’anno.

Prima di emigrare nella perfida Albione, ormai più di sette anni fa, le uniche volte in cui mi sono imbattuto nell’equivalente del food poisoning italiano – intossicazione alimentare – fu con le cozze crude. Indirettamente per giunta, cioè qualcun altro lo aveva sperimentato per me. Quindi quando arrivo in Inghilterra anni fa è con estremo stupore che mi rendo conto che l’intossicazione alimentare qui è così comune che è come prendersi un raffreddore da noi. Ed è così normale che la gente fa spallucce o sorride quando si torna in ufficio dopo un paio di giorni di “cagarella a fontanella” dicendo cose tipo: “Sabato ho mangiato un cinese take away e sono rimasto tutto il giorno in bagno!”

Tutti i miei colleghi e gli amici l’hanno avuta e da pensare il fatto che in 7 anni io non abbia mai avuto niente. E con me molti miei amici italiani che vivono qui. Quindi il problema, mi pare, non sta nel cibo contaminato visto che mangiamo dagli stessi ristoranti e supermercati ma nelle abitudini alimentari e igieniche dei britannici. Mangiare take-away vecchi di giorni perché non hanno voglia di cucinare, il loro continuo ciucciarsi le dita durante i pasti (e di fronte a tutti), il non usare tovaglie e tovaglioli ai ristoranti, ingurgitare senza alcuna precauzione cibo caduto a terra ecc.

Non c’è da stupirsi che i turisti inglesi poi non abbiano alcun problema quando fanno le loro “avventure alimentari” nei paesi del terzo mondo. Il Regno Unito è una palestra per l’immuno-efficienza dell’organismo umano. Come dico sempre: se hai vissuto in UK puoi vivere dappertutto.

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Sei italiano per puro caso

roman-empire-mapGuardando a questa mappa dell’Impero Romano alla sua massima estensione ci rendiamo conto di quanto l’Europa di oggi sia stata plasmata 2000 anni fa dalle scelte dei vari imperatori che si sono succeduti al trono di Roma. Se i romani avessero vinto alla battaglia di Teutoburgo a quest’ora la Germania non esisterebbe come la immaginiamo oggi e la divisione tra popoli latini e germanici sarebbe molto più spostata a nord o a est. Se invece di costruire il Vallo di Adriano le truppe romane fossero riuscite a penetrare nelle highland scozzesi a quest’ora quella che noi chiamiamo Scozia sarebbe indistinguibile per cultura e lingua dal resto del Regno Unito (e non si chiamerebbe Regno Unito). E così via.

Insomma le nostre nazionalità e tutti i confini che gli uomini considerano sacri non sono altro che il frutto di una decisione presa 2000 anni fa. Il caso, la necessità o la volontà di un imperatore o generale hanno decretato la natura odierna di quelle che chiamiamo nazioni oggi. Eppure, nonostante questo concetto sia palese nello studio della storia ci sono ancora persone a questo mondo -adulti oserei dire, e perfino con una certa istruzione – che considerano la propria appartenenza ad una nazione come qualcosa di speciale e unico. Inutile far loro presente che sarebbe bastato che l’Imperatore Augusto avesse fatto avanzare le truppe un po’ più in là di un fiume e ora la nazionalità di cui si vantano non esisterebbe e sarebbe sostituita da un’altra. Un’altra per la quale si celebrerebbero le stesse lodi.

Famiglia, nazionalità, religione, lingua, sono tutti frutti del caso e dipendono da milioni di fattori e da milioni di scelte di singoli individui durante i millenni passati. Come si possa considerare la propria nazionalità o cultura o religione speciale, unica o la migliore rispetto a tutte le altre per me è un mistero. O semplicemente un retaggio della nostra natura tribale, un istinto iscritto nei nostri geni che ci fa credere che il nostro gruppo sia il migliore e che tutto il resto sia inferiore.

E questo è particolarmente e oscenamente disarmante in quei paesi multietnici come il Libano, la Nigeria o la ex-Yugoslavia. Per esempio anni fa parlavo con uno studente nigeriano il quale si vantava del suo cristianesimo pentecostale, l’unico vero per lui. Nel villaggio affianco sono protestanti anglicani, nell’altro ancora musulmani e quelli più interni ancora animisti. Ora, il fatto che ogni villaggio abbia una religione in particolare non è stato il frutto di una decisione volontaria presa dagli abitanti del villaggio, né una benedizione o punizione del dio ma semplicemente del colonialismo europeo a macchia di leopardo in Nigeria. Sulla costa fu più facile convertire forzatamente al cristianesimo, all’interno no. A seconda dei missionari poi ci sono state conversioni diverse, ed ecco quindi il motivo dei pentecostali, battisti, anglicani, cattolici ecc.

L’uomo nazionalista o religioso è così egocentrico che pensa che il mondo sia stato fatto per lui e intorno a lui. Il nazionalismo così come la religione sono due facce della stessa medaglia: l’istinto tribale a considerare il proprio clan come quello privilegiato, benedetto, speciale e migliore. Un comportamento che in tutti i libri di psicologia viene comunemente considerato come infantile.

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