Archivi del mese: agosto 2015

La morte dei blog (di nuovo)

blogger1Con la fine del blog di Malvino se ne va una delle ultime colonne portanti della blogosfera italiana. Che vi piaccia il suo stile tagliente o no è innegabile che Malvino sia stata una delle penne più influenti di quella che chiamiamo blogosfera italiana. Ora, sulla morte dei blog è stato detto tanto negli anni passati, soprattutto dagli ultimi blogger rimasti in vita (compreso il sottoscritto), ma credo che oggi nel 2015 e a pochi mesi dall’inizio del 2016 si abbia un’idea più precisa di quello che sia successo. In passato per esempio ci siamo sempre lamentati del fatto che i blogger si siano spostati sui socialmedia perché erano più immediati, semplici e con un feedback più gratificante a discapito della perdita dell’anonimato e dell’effemerità. E’ vero, tutto giusto ma i contenuti commentati sui social media continuano ad essere prodotti il più delle volte da blogger prestati a siti “corporativi” più grandi come Huffington Post, Linkiesta o per il campo scientifico Le Scienze. In pratica i blog sono morti ma i blogger esistono ancora ma questa volta lavorano per qualcun altro.

E tutti gli altri? Quelli che non scrivono per lavoro hanno abbandonato i blog o, come il sottoscritto, resistono ancora. Penso che il blog continuerà ad esistere fintanto che ci saranno persone come me che hanno voglia di scrivere. E i lettori? I lettori fanno finta di essere emigrati sui socialmedia ma sanno benissimo che se vogliono contenuti di cui (s)parlare sui socialmedia devono sempre passare di qui, dai blog. Sui socialmedia non possono essere prodotti perché chi ci prova a farlo si accorge immediatamente che non ne vale la pena. La presenza del contenuto dura un paio di ore (normalmente per la pausa pranzo) e quindi è l’effemerità che non permette la creazione di contenuti stabili che possano essere commentati. In pratica i blog rappresentano la sostanza di cui spesso i socialmedia si nutrono. In parole povere la parte social dei blog, ovvero i commenti, i link, i reblog ecc., si sono spostati su altre piattaforme.

E questo vale perfino per i cosiddetti “millennials”, ovvero le persone che sono nate dopo il 2000, che nonostante “today, teens are about as likely to start a blog (over instagramming or snapchatting) as they are to buy a music CD. Blogs are for 40-somethings with kids” [gli adolescenti] continuano a commentare, magari senza saperlo, contenuti scritti da 40enni con figli che scrivono ancora in questa forma di scrittura obsoleta che si chiama(va) blog.

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Little (silly) Italy

imageImmaginatevi questa scena. State aspettando il bus alla fermata della vostra città quando un’altra persona che sta aspettando con voi vi chiede nome, numero di telefono, indirizzo e vi invita a cena. Non solo ma questa persona pretende che da quel momento in poi siate amici per sempre. La persona era una totale sconosciuta e non avevate niente in comune.

Cosa pensereste? Che la persona sia un pazzo maniaco? “Amico di uno appena conosciuto alla fermata del bus con cui non ho niente in comune? Ma neanche per idea.”

Ora spostate questa scena con le stesse persone in una città straniera. Cosa accadrebbe? Di colpo la persona sconosciuta non viene più vista come un pazzo, non avete alcuna remora a darle tutti i vostri dati personali e ad organizzare una cena insieme. Anzi, c’è la possibilità che i ruoli si invertano e siate voi a fare il primo passo per conoscerla.

Cosa è cambiato? L’unica cosa che è cambiata è il luogo ed è bastato questo a rendere le due situazioni incredibilmente differenti. Ed è quello che succede ogni giorno all’estero tra italiani. Persone che non si sarebbero mai neppure scambiati un “salve” o “buongiorno” in Italia, all’estero diventano immediatamente amiche. Il motivo di questo strambo comportamento – che non avviene tra inglesi, tedeschi o cinesi – è l’istintivo tribalismo italiano. L’appartenenza alla tribù diviene irresistibile quando l’italiano si trova circondato da stranieri fuori dalla sua “comfortable zone”. Sembra incredibile ma spesso quello che due italiani all’estero hanno in comune è solo il passaporto e il fatto che i propri genitori abbiano trombato all’interno di un territorio conquistato da altri uomini cento o più anni prima.

Ogni volta rimango sconcertato da questo comportamento. Essere amico di qualcuno non dovrebbe dipendere dal passaporto ma da una serie di caratteristiche comuni che rendono l’amicizia piacevole. Capisco che per chi sia appena emigrato il fatto di avere qualcuno che parli la stessa lingua sia di aiuto (ci mancherebbe) ma questo comportamento è comune pure tra emigrati navigati da molti anni. “Ma la lingua comune…” Ma la lingua è solo uno strumento per comunicare, non è sinonimo di “comunicazione”. Altrimenti i sordomuti italiani non si sentirebbero italiani.

Insomma ho più cose in comune con il mio amico giapponese che con un casertano incontrato per caso alla fermata del bus. Perché dovrei preferire il secondo al primo? Solo perché parla la mia lingua madre? E la/e lingua/e che ho imparato nel frattempo non sono abbastanza per avere una conversazione?

Oppure queste radunate tipiche tra italiani per me non hanno senso. Sembra di rivedere le associazioni di italiani emigrati all’inizio del 1900 in America, stile ghetto Little Italy. E perché non posso invitare il mio amico greco e quello indiano e fare una bella spaghettata al curry e ouzo? “Ma perché poi non possiamo parlare in italiano.” E perché dovresti se tra di noi ci sono persone che non usano quello strumento di comunicazione?

Per carità, ho sempre incontrato bravissime persone all’estero che provenivano dall’Italia e con cui ancora intrattengo ottimi rapporti di amicizia (alcune veramente straordinarie) ma spesso tutto questo tribalismo pare eccessivo. O forse nasconde una incapacità profonda degli italiani di relazionarsi con il diverso, di imparare un’altra lingua, di accettare il prossimo anche se viene fuori dal proprio paesotto di provincia?

 

 

 

 

 

 

 

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La guerra che non esiste

Mentre l’Occidente continua a parlare di possibili guerre future come quella con un Iran con bomba nucleare o con la Russia – leggasi cazzate per distrarre opinione pubblica – in questo momento un paese mediorientale sta invadendo un altro con centinaia di carriarmati e truppe di terra. Questo paese ha bombardato a tappeto per mesi citta’ e villaggi uccidendo almeno 2000 civili e migliaia di ribelli indiscriminatamente. Sono certo che il 90% dei lettori non hanno ancora capito di cosa stia parlando. Ma vi do un indizio: chi invade e’ un grande amico dell’Occidente che foraggia il terrorismo internazionale da decenni. Basta questo per eliminare le notizie da tutte le agenzie di stampa e dagli scranni dell’ONU. Una invasione di terra non si vedeva dalla guerra americana in Iraq eppure sta passando inosservata in tutto il mondo. Basta un bambino palestinese ucciso per avere milioni di persone indignate, decine di giornalisti spediti nella Striscia a mostrarci immagini di madri che piangono con in braccio il figlio insanguinato, risoluzioni dell’ONU ecc. Ma per i poveri yemeniti neppure un tweet o un selfie con i loro cadaveri sullo sfondo.

Tanto che mi chiedo: nel 2015 una guerra che non viene riportata dai media esiste veramente?

yemen invasion

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