Sono probabilmente l’ultimo a commentare sulle parole di Nadia Toffa, la conduttrice de Le Iene che ha candidamente detto – mentre annunciava un suo libro sulla sua esperienza con il cancro – che “il cancro è un dono”. Non aggiungerò molto dato che la socialsfera (si chiama cosi?) e la blogosfera (questo termine esiste veramente) nel giro di poche ore hanno già dato il loro verdetto: trattasi di grande cazzata. Non solo perché le malattie e la sofferenza non sono doni ma mali da curare, ma soprattutto perché non tutti ne guariscono e la propria attitudine mentale o convinzione non hanno alcun peso sulla malattia. Puoi convincerti quanto vuoi che il cancro non vincerà ma quello ti prende comunque. Questa pratica un po’ New Age e un po’ motivational trainer a la americana (ce la puoi fare se ci credi!) in realtà ha un antenato molto famoso e ingombrante. Si chiama religione, e vi fa credere che se pregate, ma tanto tanto tanto la Madonna o Padre Pio (fino a farvi scoppiare le meningi e distruggere i menischi sull’inginocchiatoio), la malattia scompare magicamente. Mentre la religione vi obbliga ad usare amuleti, pezzetti di legno cosparsi di H2O e ascoltare uomini in gonnella per guarire la nuova pratica ha bisogno di ben meno: qualche tweet e un bel viso di una persona importante e si vince ragazzi!
Quello che fa arrabbiare di più è che non si sente mai nessuno ringraziare la medicina moderna e gli eroi chiamati medici (e prima di loro chi come il sottoscritto si occupa di ricerca di base) per aver vinto contro il cancro. Prima era la Madonna o Padre Pio, ora è se stessi, la propria convinzione, la propria forza. Il dio (e il miracolo) è stato interiorizzato, da trascendente a immanente e il cancro è una prova che ci è stata data. Se vinciamo siamo più completi e capiremo il mondo perché lo vivremo in un modo diverso. Certo, qualsiasi esperienza negativa ci permette di vedere con occhi nuovi il mondo e di capire che le cose, spesso stupide, a cui siamo attaccati, in realtà non valgono nulla nel grande schema della nostra vita. Eppure, le parole sono importanti e “dono” non è di certo una che userei da associare al cancro, specialmente per rispetto nei confronti di chi a causa di quel dono ha perso propria vita o dei propri cari. E questo ci ricorda la pessima eredita che l’ideologia di Madre Teresa di Calcutta ha lasciato alla cultura pop: la sofferenza come via per raggiungere la salvezza. Il dolore come mezzo indispensabile per raggiungere Cristo. Una filosofia cosi barbara e cosi legata al cristianesimo delle origini (il martirio come canale privilegiato per la salvezza, non tanto lontano dal jihadismo che pone il suicidio-omicidio come condizione privilegiata per raggiungere il Paradiso) che ha come unica e logica conseguenza l’accettazione del dolore e l’autoflagellazione del rifiuto della medicina palliativa. Perché dare ai malati antidolorifici o perfino guarirli quando il dolore è la chiave, il dono appunto, per raggiungere Cristo? Ed è appunto quello che succede negli ospedali di tutto il mondo di Madre Teresa di Calcutta. La gente non guarisce e ne esce solo per andare al cimitero. Per l’ultima volta.