Archivi del mese: marzo 2019

Come crescere i vostri figli bilingue-breve guida

Quando sono diventato padre la missione più importante che mi sono posto in testa fu quella di far crescere i miei figli bilingue (spero trilingue appena andranno a scuola). Ho quindi pensato di scrivere questa breve guida all’insegnamento del bilinguismo per aiutare altre persone nella mia stessa condizione. Buona lettura!

Per prima cosa alcune premesse: sono un emigrato in UK da ormai 13 anni e ho sposato una italiana; ho due gemelli di 3 anni e mezzo. Ogni caso è particolare e sicuramente il mio è uno dei più fortunati. Vediamo perché.

Nascere da uno o entrambi genitori stranieri in un altro paese non è garanzia di bilinguismo. Il bilinguismo deve essere deciso a tavolino già dal giorno della nascita. Deciso e implementato come uno dei piani quinquennali decisi dai governi dell’URSS. Niente deve essere lasciato al caso, ogni azione deve essere pensata e far parte di una strategia a lungo termine.

Nascere da genitori che parlano una lingua in un paese che ne parla un’altra è un dono, ma deve essere coltivato e curato altrimenti non funziona. Ho conosciuto decine di italo-inglesi o anglo-italiani nati in UK (spesso da entrambi i genitori italiani) che non sanno dire una singola parola in italiano. Per me è sempre stato un mistero. Come è possibile nascere in una famiglia italiana e non saper parlare italiano? I tuoi genitori non ti hanno mai parlato nella culla in italiano? Non hai mai sentito parlare i nonni?

Sono due i più grandi ostacoli al bilinguismo: il primo, ovvio, è che la lingua della famiglia è minoritaria mentre quella dove si vive all’estero è maggioritaria. Maggioritaria perché è la lingua dell’asilo, della scuola, degli amici, del gioco, dei media ecc. Nel mondo di oggi i figli vedono i genitori solo per poche ore al giorno. E non sono le ore più interessanti per loro… Altro problema è la vergogna. L’immigrato si vergogna della propria lingua d’origine perché non vuole sembrare integrato nella società. I bambini assorbono questa vergogna e non usano la lingua. Inoltre altri bambini prendono in giro i bambini immigrati a scuola se li sentono parlare una lingua diversa.

Come si possono superare questi ostacoli?

Bisogna armarsi delle seguenti:

  • disciplina
  • disciplina
  • disciplina

I genitori devono parlare ai propri figli nella loro lingua madre, sempre e ovunque. Se possibile anche quando ci sono altre persone della lingua maggioritaria presenti. Bisogna leggere ad alta voce libri in lingua madre, bisogna guardare cartoni in lingua madre, musica in lingua madre. Bisogna far socializzare i propri bambini con altri bambini con la stessa lingua madre.

Pensate che questo sia facile? Vi posso assicurare che non lo è per niente. E la percentuale di successo cambia a seconda della composizione della famiglia (dati da Adam Beck, Maximize your child’s bilingual ability):

ambedue genitori di lingua minoritaria che non usano lingua maggioritaria a casa: 96.92% di successo

un genitore usa lingua minoritaria-altro genitore usa lingua minoritaria e maggioritaria: 93.42% di successo

ambedue genitori che usano lingua maggioritaria e minoritaria: 79.18% di successo

un genitore usa lingua maggioritaria, uno lingua minoritaria: 74.24% di successo

un genitore usa ambedue lingue ma altro genitore solo maggioritaria: 35.70% di successo

 

Io faccio parte della prima categoria. Molte delle coppie di immigrati che conosco fanno parte dell’ultima e infatti mentre i miei figli stanno crescendo bilingue i loro figli hanno grosse difficoltà. Capiscono maggior parte di quello che gli si dice ma non riescono a parlare la lingua minoritaria. E se ne vergognano.

Questi numeri non significano in realtà che se fate parte dell’ultima categoria avrete quella percentuale di successo. E’ solo un calcolo delle famiglie che sono state interpellate sull’argomento (sono solo statistiche). Come dicevo prima esistono famiglie di immigrati che fanno parte della prima categoria ma il loro numero è vicino allo 0%. Di converso si possono avere percentuali di successo altissime anche se siete dell’ultima categoria. Tutto dipende dal vostro piano quinquennale e dalla disciplina che vi ponete fin dall’inizio. Come massimizzare le vostre probabilità di successo:

  • parlare sempre nella lingua minoritaria a casa;
  • leggere, leggere, leggere;
  • ascoltare musica e guardare cartoni in lingua minoritaria;
  • frequentare famiglie e amici con bimbi della vostra lingua minoritaria;
  • frequentare familiari il più possibile: nonni, zii, cugini ecc.;
  • viaggiare, viaggiare, viaggiare. Non necessariamente nel paese d’origine. Il viaggio in famiglia è una sorta di bolla culturale e linguistica che amplifica le capacita’ linguistiche dei bambini. Anzi, spesso è meglio viaggiare all’estero ma non nel luogo d’origine: si instaura una dicotomia tra “noi”, la famiglia, e “loro” il paese che ospita. Per cui i bambini si identificano nella cultura e nella lingua della famiglia.
  • mai redarguire i bambini se usano lingua maggioritaria a casa. MAI. Quando un bambino usa la parola dell’altra lingua non bisogna dire: “Non si dice cosi!” o “Non dire mai quella parola!”. Si risponde: “Intendevi dire questo?” o “Non capisco. Forse volevi dire questo?”. “Quello lo dicono all’asilo, a casa diciamo cosi.”
  • l’apprendimento della lingua deve essere un gioco. I miei bambini per esempio adorano usare vezzeggiativi o diminutivi in italiano. Inventano parole in italiano modificandole e in famiglia ci ridiamo su.
  • quando camminiamo assieme gli chiedo di descrivere cosa vedono o chiedo “Chi vede un gabbiano sull’albero?” o “Di che colore è il bus?”. Questa interazione è continua e più cose nuove e diverse vedono meglio è.
  • io ho sperimentato questo gioco molto efficace. Ci sediamo e gli chiedo come si chiama un animale. Poi gli chiedo come si chiama all’asilo. Ci vuole tempo ma dopo un po’ capiscono il gioco e rispondono immediatamente. Ora sanno che all’asilo si parla un’altra lingua mentre a casa un’altra. Questo aiuta anche l’elasticità mentale. Passare da una lingua all’altra in pochi millisecondi non è facile.
  • quando si è in presenza di amici che parlano la lingua maggioritaria coinvolgerli nell’apprendimento della lingua minoritaria. “Perché non insegni a James come si dice mela a casa nostra?” Gli amici stranieri adorano mettersi in gioco e imparare parole di un’altra lingua. La lingua minoritaria diventa cosi una cosa di cui vantarsi e non più vergognarsi.
  • non avere paura di usare parole arcaiche, inusuali, tecniche. Quando vedo un insetto gli dico che fa parte degli artropodi, che ha sei zampe, che l’esoscheletro è fatto di chitina, che le elitre sono quelle e le antenne sono quelle altre. Come se parlaste agli studenti di un corso universitario. Molte non le impareranno ma la fonetica, la sintassi della lingua rimarranno.

Nel mio caso sono doppiamente fortunato perché ho gemelli. La lingua minoritaria si rinforza quando si hanno gemelli perché prendono esempio l’uno dall’altra e imparano. A volte si correggono pure.

In conclusione, il bilinguismo non è garantito ed è un viaggio di cui io stesso ancora non conosco le tappe e la meta visto che i miei figli hanno appena 3 anni e mezzo; ma è un viaggio da fare assieme con il proprio partner coinvolgendo la famiglia allargata e gli amici intorno a voi. Il bilinguismo è il dono più grande che possiate fare ai vostri figli. Vedere e leggere il mondo con due lingue e due culture diverse è un arricchimento e un vantaggio nella vita di tutti i giorni. Apre le porte ad infinite possibilità.

Ma significa fatica, frustrazione a volte, gioia e rabbia ma ne vale la pena provarci. Buona fortuna e mi raccomando: siate disciplinati e seguite il vostro piano quinquennale!

 

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Veli sugli occhi

Ho avuto i brividi sulla schiena quando ho visto la primo ministro della Nuova Zelanda Jacinda Ardern indossare il velo islamico in supporto alle vittime dell’attentato terroristico a Christchurch. E non per l’emozione, come molti sui social hanno detto, ma per il ribrezzo.  Mentre migliaia di neozelandesi si mettevano un velo in testa nell’altro emisfero c’erano letteralmente altre centinaia di migliaia di donne che se lo volevano togliere e venivano punite, arrestate, ostracizzate per questo. Il velo non è il simbolo dell’Islam. È il simbolo dell’umiliazione quotidiana che una parte della popolazione islamica deve subire fin dalla pubertà.

Come sia potuta venire in mente una cosa del genere dopo un attentato terroristico nel 2019? Come si è arrivati a questo punto? Come può la psiche umana arrivare a tali abissi di assurdità? Per capirlo dobbiamo tornare indietro di qualche anno e guardare alla politica americana dell’ultimo decennio. Dopo l’11 Settembre 2001 i neocon americani attaccano Afghanistan e Iraq, due paesi a prevalenza musulmani, il terrorismo islamico dilaga nel mondo e fa migliaia di vittime. I neocon americani individuano nell’Islam radicale il loro nemico. I liberal americani incominciano a muoversi in questo nuovo mondo. Devono fare opposizione, ovvio, ma la via più semplice è quella di fare l’esatto contrario dei repubblicani. Se i repubblicani sono contro l’Islam i democratici diventano i paladini dell’Islam. La metamorfosi è lenta ma progressiva. Tra le femministe vicine al partito democratico viene individuato il velo come simbolo di femminilità e di orgoglio femminile (parlano di modesty, la modestia che le donne di centinaia di anni fa avrebbero dovuto seguire in società patriarcali dominate da religioni abramitiche e assolutistiche). Pura bestemmia per i movimenti femministi degli anni 60 e 70. Nel frattempo, la metamorfosi continua. Arriva Trump e la cosa si amplifica perché ora si delineano due campi contrapposti: i sovranisti di destra che vogliono difendere l’Occidente cristiano (il loro cavallo di battaglia da secoli) e i liberal/di sinistra che si ritrovano a dover fare il contrario. Difendere l’Islam a tal punto da farne parte. A tal punto da rinnegare in Europa la divisione tra stato e chiesa. Il velo diventa un simbolo di protesta tanto da campeggiare in poster politici del Partito Democratico come simbolo progressista. Donne islamiche velate diventano campionesse di diritti delle donne per il movimento Me Too, alcune vengono elette proprio per il loro velo.

Cosa ci insegna tutto questo? Che il cervello umano è incapace di uscire fuori dalle dicotomie mentali del NOI-VOI, bianco-nero. Se una parte politica adotta un’idea l’altra deve per forza adottare l’opposto, perché il nemico del mio nemico è mio amico. Quello che però fa pensare di più è che i cavalli di battaglia di certa sinistra, come la laicità, la separazione stato-chiesa, l’avanzamento dei diritti delle donne e di altre minoranze non sono principi basilari della propria appartenenza politica ma semplicemente strumenti di lotta contro i propri avversari. Che cambiano a seconda del proprio avversario. Siamo passati dall’opposizione alla chiesa per difendere le classi operaie (ve lo ricordate l’oppio dei popoli?) all’opposizione all’occidente per difendere l’Islam. Chiunque commenti contro l’Islam come struttura ideologica, come strumento di oppressione delle masse e delle minoranze viene additato a islamofobo, xenofobo e razzista. La classe operaia si è trasmutata nell’Islam. Dalla falce al martello al velo islamico. Dal pugno alzato all’indice alzato urlando Allah Akhbar. Dall’anticlericalesimo al filosalafismo. Gli islamici diventano una minoranza da difendere (nonostante siano tanti quanto i cristiani e siano maggioranza in molti paesi: maggioranza che opprime le minoranze), sono una razza da difendere (ormai si usa il termine razzista al posto di islamofobo, un modo per zittire l’avversario su un tema tabù come la razza), l’Islam una religione oppressa e fiera, simbolo di “libertà” perché molti territori in cui è presente furono colonizzati (terzomondismo e antioccidentalismo riciclati in un contesto religioso).

Di tutte queste ginnastiche mentali, istinti primordiali e veri e propri problemi psichiatrici le sinistre mondiali non si rendono conto ovviamente. Lo chiamano progresso, la chiamano lotta contro i bianchi oppressori, contro il nazifascismo in crescita in Occidente. Ma non si rendono conto che si può e si deve essere contro gli oppressori e il nazifascismo senza ripudiare le lotte che sono state combattute per secoli contro l’opprimente religione, l’oppio dei popoli e strumento dei potenti usato contro le minoranze. Ma nel 2019 forse sto parlando al vento…

 

 

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Coincidenze impossibili

Ora vi racconterò tre cose che hanno dell’incredibile e che mi hanno molto colpito.

1. Anni fa incontrai un ricercatore a San Paolo, in Brasile. Pochi minuti durante una visita in un laboratorio. Neanche mi ricordavo il suo nome. L’anno dopo mentre faccio il check in in un hotel di Santiago del Cile si avvicina un uomo e mi dice: “Fabrizio, ma sei tu? Ci siamo visti l’anno scorso a San Paolo nel laboratorio di X!”

La mia mascella e’ cascata a terra in quel momento. Quali sono le probabilità che si riincontri una persona tra 7 miliardi dopo un anno in due paesi differenti (Brasile e Cile), nello stesso luogo (pochi metri quadrati) e nello stesso istante (pochi secondi)?

2. Alcuni mesi fa prendo il treno da Copenhagen a Aarhus. Stavo per salire su una carrozza ma poi ci ripenso perché troppo piena. Salgo in un’altra carrozza. Guardo i visi nel vagone e in un millisecondo riconosco una faccia conosciuta. Ma e’ Piotr!! L’amico polacco di un amico italiano che ho conosciuto a Bristol 10 anni prima!

3. Non e’ finita qui. Settimana scorsa ero in Israele, all’università di Haifa, in attesa di parlare con un professore. Mentre aspetto per il mio appuntamento, dalla stessa porta escono due ex-colleghi inglesi che non vedevo da due anni! Di nuovo, quali sono le probabilità che una cosa del genere accada? Stesso paese, stesso luogo, stessa porta, stesso secondo. E’ praticamente impossibile!

Quali sono le probabilità che due persone conosciute in un luogo si riincontrino in un altro nello stesso istante? Qualcuno riesce a fare il calcolo? E a me e’ capitato almeno tre volte in tre continenti diversi. Se e’ cosi forse e’ più comune di quanto si creda. Chissà quante conoscenti e amici abbiamo incrociato senza vederli. Magari in un’altra carrozza del treno o dietro una porta di un hotel o mentre ci allacciavamo la scarpa in un affollato marciapiede. Il mondo in fondo non e’ cosi grande.

Scusate mi gira la testa…

 

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