Archivi del mese: novembre 2013

Un imbarazzante (e scandaloso) articolo-bufala del Fatto sulla sperimentazione animale

development-success-ratesGira sul web – leggi quella sala d’attesa della parrucchiera chiamata Facebook – un link ad un articolo su Il Fatto, scritto da AP – che in genere scrive di UE ed è laureato in Scienze della Comunicazione – su un fantomatico programma pluriennale europeo che dovrebbe stanziare 70 miliardi per la ricerca scientifica che non userà animali ma metodi alternativi. Fantomatico questo Horizon 2020 (altro non è per chi di scienza ne mastica dell’FP8, Framework 8) perché da nessuna parte si parla di sperimentazione animale alternativa. Ho speso una buona mezz’ora a cercare su internet in inglese ma non ho trovato nulla; le uniche informazioni vengono da un sito animalista dove ci si “augura” che la bozza finale contenga riferimenti ai mteodi alternativi, forse la fonte “ufficiale” per AP. Se qualcuno trova qualcosa vi prego di postarlo sui commenti per piacere e vedrò di riportare le parti in questione.

Il titolo e il testo dell’articolo sono a dir poco fuorvianti e dopo il copia-incolla da Facebook (guardate su Google l’effetto valanga su decine di siti animalisti) anche criminali, perché introducono disinformazione su un tema gia di per sé bollente in Italia.

Per prima cosa diciamo che i famosi 70 miliardi di euro rappresentano l’intera somma di fondi destinati ai progetti finanziati dal FP8, inclusi ingegneria, ricerca aerospaziale, elettronica, medicina, biologia, chimica, fisica e quant’altro ecc. Il titolo quindi è sbagliato e nonostante sia stato chiesto al “giornalista” di rettificare il titolo e l’articolo sono ancora lì.

Si tratta quindi di una bufala bella e buona –scritta con copia-incolla, pigrizia e tanta passione animalista -, non mi fiderei allora di tutti gli articoli che il nostro giornalista ha scritto in passato compreso uno intitolato “Italiani: capre e ignoranti” che porterebbe la discussione sul tragicomico, ma non infierisco e mi fermo qui.

AP ci delizia con opinioni personali camuffate da fatti scientifici come:

“Questa innovazione si traduce nei laboratori di ricerca nello spostare il focus dei test dal “animal relevant” al “human relevant”,”

Non riesco a trovare questi termini sulla bozza di Horizon 2020, quidi ne deduco che sono stati copia-incollati dal solito sito animalista che infatti cita proprio questi due termini. Tra parentesi, questa distinzione non vuol dire una cippa,  a meno che non significhi che gli esperimenti d’ora in poi debbano essere fatti solo sugli umani.

“ovvero sostituire ratti e criceti con riproduzioni robotiche e di microingegneria.”

Qui AP c’è cascato male perché confonde la meccanizzazione di un processo delle fasi iniziali con una fantomatica riproduzione robotica dell’animale. Che inutile dirlo, non esiste. Lost in translation dall’inglese, è meno male che è il corrispondente da Bruxelles!

“il laboratorio robotico più avanzato al mondo del valore di 50 milioni di euro e di proprietà del governo Usa, che lo sta usando per testare sostanze chimiche al ritmo di centinaia a settimana invece degli anni che ci vorrebbero con i test sugli animali.”

Anche di questo non trovo traccia su internet. Niente, zero, nada. Suppongo si riferisca comunque alla meccanizzazione per il drug-screening. Questo si ricollega a prima ovviamente. AP non ha alcuna idea delle fasi che portano alla commercializzazione di un farmaco. La meccanizzazione (multiwells, high-throughput systems, drug screening ecc.) non esclude la sperimentazione animale, anzi dopo questa preselezione le molecole vengono poi date ai ricercatori per gli esperimenti sui tessuti (in vitro o in vivo). Per farvi un esempio in molti dipartimenti ogni giorno si ricevono dozzine di fiale che vengono dalla meccanizzazione. Queste fiale vengono selezionate per la citotossicità o per altre caratteristiche di base, poi vengono date ai ricercatori per sperimentare su tessuti animali. Una scrematura iniziale per evitare di perdere tempo e animali ovviamente.

“Questo sia per motivi etici ma anche pratici, perché come ha evidenziato uno studio del 2004 della Food and Drug Administration (FDA) americana, le tecnologie testate sugli animali registrano un grado di insuccesso del 90% quando tradotte sull’uomo.”

Un’altra opinione falsa spacciata per vera (anche questa copia-incollata dai siti degli animalisti). Questo “studio” della FDA dice che “For example, a new medicinal compound entering Phase 1 testing, often representing the culmination of upwards of a decade of preclinical screening and evaluation, is estimated to have only an 8 percent chance of reaching the market.” – Challenges and Opportunities Report, FDA, 2004

Come questo sito spiega benissimo, con tanto di figura, non si tratta di un insuccesso del 90% dei farmaci che passano dai test animali a quelli sull’uomo. Bensì si tratta del grado di insuccesso di quando si passa dalle prime fasi a quella finale preclinica. Significa che su 100 sostanze sconosciute candidate per quella malattia solo il 10% arriverà alle fasi precliniche. Non c’entra niente il grado di insuccesso sugli umani. Si tratta semplicemente della scrematura naturale di tutte quelle sostanze che hanno effetti negativi o non sono abbastanza efficaci.

Quello che AP non capisce e gli animalisti non capiranno mai (vedi sempre l’articolo “Italiani: capre e ignoranti”) è che ci sono varie fasi della sperimentazione dei farmaci: quelle pre-sperimentazione animale che servono a scremare le decine di migliaia di molecole che vengono scoperte (questa è la parte chimica), quelle in cui vengono utilizzati animali o tessuti in vitro e in vivo, le fasi precliniche (sugli umani), le fasi cliniche e l’autorizzazione/registrazione da parte delle commissioni nazionali sui farmaci.

“ma sicuramente quelli della maggior parte dei cittadini europei.”

Falso pure questo. Non è che perché Stop vivisection ha raccolto 1 milione di firme allora l’opinione pubblica sia contro la sperimentazione animale (1 milione di firme raccolte da un’organizzazione di parte non sono rappresentative della totalità della popolazione). Ricordo che ci sono più di 500 milioni di persone in Europa.

Insomma un articolo pieno zeppo, fin dal titolo, di bufale, asserzioni non rintracciabili o linkate e che quindi hanno valore zero dal punto di vista professionale, scientifico e per la discussione sulla sperimentazione animale. Questo articolo non fa altro che rinfocolare un dibattito che già dall’origine pecca di incomprensioni di fondo dettate più dai sentimenti che da fatti.

Inoltre rafforza la mia convinzione che il movimento antisperimentazione animale pecchi di solide conoscenze scientifiche e che come tale non dovrebbe mai essere preso sul serio per un dibattito sereno. E questo fa male in primis alla loro causa e poi ovviamente ai ricercatori e a tutti coloro che assumono medicinali.

Per quanto riguarda invece il giornalismo in Italia io ci ho già messo una pietra sopra e questo imbarazzante (sì esatto non posso far altro che sentirmi imbarazzato ogni volta che guardo il viso di questo ragazzo) articolo dimostra come mettere un giornalista senza alcuna base scientifica a scrivere questi articoli faccia male un po’ a tutti. Per esempio da oggi potremmo anche fare a meno di leggere Il Fatto Quotidiano perché inattendibile.

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Perché l’accordo di Ginevra cambia gli equilibri mondiali dopo 50 anni di influenza saudita

Con l’accordo di Ginevra il mondo ha incominciato a ruotare sul proprio asse ancora una volta e a rivoluzionare gli equilibri geopolitici. La prima testa  a cadere è l’Arabia Saudita. Finalmente, dico io. I sauditi sono sempre stati una piaga per l’Occidente che dipendeva dai loro petrodollari da più di 50 anni condizionando l’intera politica mondiale. I sauditi vendevano petrolio in cambio di protezione e di controllo del medioriente in chiave anti-sciita. Una delle più grandi e sottovalutate guerre fredde degli ultimi 50 anni quella tra sunniti e sciiti. Sauditi contro Iran, Siria, Hezbollah per il controllo politico, culturale e religioso della regione. Gli USA, a causa di questo legame di sangue con i sauditi, sono sempre stati anti-sciiti ma ho sempre pensato che l’Occidente dovesse avere alleanze più strette con gli sciiti piuttosto che con i sunniti. Un legame culturale molto più naturale a mio avviso per questioni storiche e culturali e perfino religiose. Ecco perché vedo il miglioramento delle relazioni con l’Iran come l’inizio della fine di un’anomalia storica incominciata 40 anni fa con il golpe della CIA contro lo Shah di Persia.

Quattro cose hanno indubbiamente portato gli USA a voltare le spalle ai sauditi: 1) la guerra in Siria; 2) le relazioni con il Pakistan; 3) la subdola guerra fredda con la Russia; 4) la scoperta del “shale gas” in quantità mastodontiche in US.

Vediamo punto per punto.

1) La guerra in Siria è diventata lo scacchiere dove i più grandi protagonisti mondiali stanno giocando le proprie carte “by proxy”. Guerra complessa dove sono in gioco le sorti del medio oriente e non solo. La Siria è uno storico alleato dell’Iran, degli Hezbollah libanesi e della Russia. Da una parte abbiamo quindi gli interessi sciiti (Iran e Hezbollah) e quelli russi (ricordiamo che l’Iran fu appoggiato dai russi nella guerra contro l’Iraq, appoggiato da USA). Dall’altra abbiamo paesi sunniti come l’Arabia Saudita che finanzia i ribelli sunniti affiliati ad Al Qaeda (Al Nasra) e cerca di spingere gli USA ad attaccare Assad. Ricordiamo che qualche settimana fa i sauditi hanno lasciato la loro sedia di osservatore all’ONU per protesta contro l’accordo di Ginevra e pare che abbiano chiesto ad Obama di bombardare la Siria in cambio di petrodollari.

2) non la chiamano così ma si tratta sicuramente di una subdola guerra fredda tra USA e Russia. Negli ultimi mesi i conflitti si sono moltiplicati: Snowden, diritti gay, Ucraina, Artico, Kosovo, Iran ecc. La Siria è un alleato storico e permette alla Russia un accesso alternativo al Mediterraneo e tramite l’Iran allo Stretto di Hormuz. Obama con l’accordo di Ginevra ha fatto un passo indietro ed è come se avesse detto a Putin che esiste una linea di demarcazione dell’influenza russa che va da Kiev fino allo Stretto di Hormuz passando per l’Ossezia e Damasco.

3) le relazioni degli Stati Uniti con il Pakistan sono ai minimi storici. Anni e anni di attachi di droni sulla popolazione civile hanno creato un’opinione pubblica antiamericana così forte che alle elezioni pakistane i candidati facevano a gara a chi prometteva più proposte antiamericane. E’ di oggi la notizia che il Pakistan sta producendo i suoi di droni che userà contro i talebani e forse come deterrente contro la presenza USA nel suo territorio. Non è un segreto che gli USA considerino l’arsenale nucleare pakistano non sicuro, l’appoggio del Pakistan ai talebani e a Osama bin Laden deplorevole e più volte analisti militari hanno parlato del Pakistan come di uno stato artificiale fallito che sarebbe meglio dividere in piccoli stati. Ma la cosa più sconvolgente è stato sicuramente l’annuncio che la Cina ha dato ufficialmente qualche tempo fa: chiunque colpirà gli interessi del Pakistan colpirà quelli cinesi. Un avvertimento non tanto velato contro gli USA. Il Pakistan infatti è un alleato cinese in chiave anti-indiana nella regione. In gioco c’è un oleodotto di dimensioni colossali che passerà per il Pakistan e arriverà fino in Cina via Tibet. Gli USA hanno cercato in tutti i modi di bloccare l’oleodotto proponendo una via alternativa dentro l’Afghanistan ma tutto deve partire dall’Iran. Gli USA si sono resi conti che si stava creando un’empasse per cui solo la Cina poteva beneficiare. Ricordiamo che la Cina ha costruito il porto commerciale di Gwadar in Pakistan a 80 miglia dal confine con l’Iran (porto a cui verrà dato status speciale, leggi protettorato cinese) in chiave anti-indiana ovviamente (e anti-USA) per quello che viene chiamato il “Gwadar-Kashgar corridor”: un corridoio che dall’Oceano Indiano porterà gas e merci alla Cina attraverso l’Himalaya. Ammorbidire le relazioni con l’Iran significa far passare il gas iraniano e irakeno attraverso vie alternative.

4) Shale gas. La scoperta del nuovo metodo estrattivo per recuperare lo shale gas tramite fracking sta cambiando l’economia planetaria e sta rendendo gli USA sempre meno dipendenti dal petrolio saudita. Anzi ora gli USA stanno diventando perfino esportatori.

Sauditi bye bye insomma. Che negli ultimi mesi si sono ritrovati ad avere un alleato inusuale, men che meno che Israele. Quest’ultimo vedrà la sua influenza sull’Occidente alquanto ridotta dopo l’accordo di Ginevra. E forse come conseguenza il conflitto israelo-palestinese potrebbe avere risvolti interessanti. Un Israele isolato e alleato dei sauditi potrebbe scendere a patti più facilmente. Chissà…

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La cura

Mi capita spesso di frequentare i nuovi arrivati, i nuovi immigrati. Non li guardo dall’alto in basso come fanno molti veterani qui, anzi sono sempre felice di aiutarli. Mi considero una sorta di cicerone qui in UK, cerco di metterli sulla strada “mentale” giusta. Cerco di fargli capire che quel comportamento lì esiste per un motivo, che “bisogna relativizzare”, capire, comprendere “loro” (troppi anni all’estero per capire che “loro” e “noi” sono parole vuote ma il neoimmigrato purtroppo vede tutto bianco e nero ed è in un periodo di scoperta ma anche di scontro). Perché lo faccio? Perché mi rispecchio in loro quando ero neoimmigrato pure io, perché ho lo spirito da crocerossina forse. Voglio incanalarli nella mentalità giusta per fargli evitare le ferite più profonde dello scontro che sperimenteranno, per evitare il rigetto. Perché lo scontro è inevitabile, anzi lo scontro è la cura. L’immigrazione è la cura per quella malattia che in molti chiamano nazionalismo, ma che a me piace definire tribalismo o biologicamente parlando imprinting. Imprinting di cui parlavo anche qua. Ma spesso il paziente ha un rigetto per il vaccino (o trapianto?) e il tribalismo diventa ancora più forte e più duro e si trasforma in scorza, guscio, riccio. Ne ho visti tanti qua di italiani che dopo vent’anni hanno creato questo guscio impenetrabile, gli arcitaliani li chiamo. Non hanno assorbito nulla, non hanno imparato nulla, non hanno perso nulla della vita precedente. Sono semplicemente diventati degli arcitaliani, boriosi, biliosi, trasudano di tribù da tutti i pori. Diventano come quelli che definiamo “extracomunitari non integrati” che vivono nelle periferie delle grandi città europee. Gli arcitaliani non vivranno nelle periferie né scenderanno per le strade a mettere a ferro e fuoco tutto quello che vedono, ma rimangono sempre “non integrati”. Ecco che la cura quindi deve essere amministrata bene, altrimenti non funziona. Ed ecco perché ho premura di seguire i neoimmigrati per evitare che mi diventino peggio di quando sono arrivati qui.

Non puoi prendere un neoimmigrato, lasciarlo solo nella zona 5 di Londra in una stanza di un metro quadro a condividere una cucina sudicia con un cinese, un indiano e un pakistano, in una catapecchia costruita nell’800 e mai ristrutturata. Non diventa più un incontro, diventa uno scontro che genera rigetto. E quando parlo con i neoimmigrati mi sembra di vedere me allo specchio. E’ incredibile come diciamo sempre le solite cose, ci lamentiamo delle stesse cose all’infinito. Ogni volta che ne incontro uno so già cosa dirà e a volte faccio scommesse su quale sarà la prima lamentela: sarà il rubinetto? La moquette? La guida a destra? La lingua incomprensibile? O la grammatica che “questi qua non studiano, non sanno niente, l’altro giorno ho corretto un mio collega che non sapeva fare lo spelling di X”? Il cibo “che fa schifo”? Il cappuccino bevuto a pranzo!? L’alcool? I sabati sera con gli ubriachi in strada? La pizza senza la vera mozzarella di bufala? E via dicendo.

Tutte queste cose le abbiamo odiate, discusse dalla A alla Z e non mi aspetto che un neoimmigrato riesca a digerirle in pochi mesi ma arriva il momento in cui bisogna trovare un equilibrio. Arriva un momento in cui guardi più a fondo o se vuoi da una posizione più neutrale – come se volassi sopra la folla e potessi vedere il mondo da un’altra prospettiva – e comprendi il perché di certi comportamenti, il motivo per cui in quest’isola si fanno certe cose e altre no. Non c’è bisogno di incorporarle, integrarsi non significa affatto diventare come le persone che ti ospitano, integrarsi significa accettare l’altro, nonostante non sia d’accordo, nonostante quella scelta o quel comportamento non vengano considerati giusti. Accettarlo per quello che è, non tirannicamente e razzisticamente considerarlo inferiore o deforme o pazzo. Perché a guardare bene – sempre con quel volo d’uccello sopra la folla – ti accorgi che le stesse critiche valgono per milioni di altri comportamenti italiani o spagnoli o francesi o indiani. E allora ti rendi conto che non c’è alcun motivo per odiare questo o quello, basta solo scegliere ciò che è bene per te e rifiutare ciò che non lo è. Che a volte un comportamento assurdo qui si controbilancia con un comportamento assurdo nella madrepatria e allora bisogna trovare un compromesso e bisogna razionalmente mettersi delle priorità nella vita. E con questa mentalità aperta si possono raccogliere tanti di quei semi in giro per il mondo per poi farli crescere dentro di sé e diventare migliore. Ecco la cura, ovvero l’immigrazione, la diluizione di questo imprinting che ci è stato affisso con forza dalla nascita può essere uno strumento per migliorarsi. O quando somministrato male può farti diventare un bruto, o a seconda dei punti di vista un bambino che si rifugia nell’utero della patria per paura di affrontare il diverso.

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