Archivi del mese: febbraio 2010

Che succede nella blogosfera?

In genere questa moria di blog e di internet è da imputare alle feste. Succede sempre così quando si avvicinano le vacanze. Internet muore, i blog smettono di funzionare, si torna alla vita reale e la vita virtuale si svuota. Ecco, quello che sta succedendo da due mesi (e lentamente da più di uno-due anni a questa parte) è proprio questo: i blog sono andati in vacanza quando non c’è alcuna vacanza. Decine di blog chiusi; decine di blog che postano uno-due post al mese; niente più commenti, battaglie dialettiche, aggregatori. Niente. Nulla. Se un marziano dovesse scendere ora sulla Terra penserebbe che il fenomeno BLOG non ci sia mai stato. I social network? Può darsi. La noia? Possibile. Si è detto già tutto? Anche questo molto probabile. O forse un mix di tutt’e tre.

C’è stata anche una progressiva migrazione su altri strumenti come i tumblr. I quali però hanno target e modalità diverse rispetto ai blog: nessuna possibilità di intervento per gli esterni, ridondanza estrema (gli stessi post ripetuti come in una casa di specchi migliaia di volte), poca inventiva (spesso ci si limita a ripostare cose scritte da altri.

Sì c’è ancora quel nocciolo duro di bloggers che continuano a scrivere ogni giorno da anni, ma la blosgosfera era solo questo, scrivere? No. Era partecipazione, discussione, a volte anche accesa, infuocata. Era un numero enorme di voci che ci parlavano, una Babele di persone che volevano discutere sui temi più disparati. Ora ci sono pochi big blogs, e la gente si limita a guardarli passivamente, come un tempo si faceva in quel vecchio media che si chiamava TV. Guardare e basta.

Ogni giorno vago tra i miei link preferiti e vedo sempre meno gente attiva: è un deserto. Di post, di menti, di idee. E’ arrivata quindi la morte definitiva dei blog?

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Di afidi e di simbiosi

Un recente articolo su PLoS mi ha suggerito questo post scientifico-filosofico. Per la prima volta il genoma di un insetto non olometabolo è stato sequenziato (gli insetti olometaboli sono moderni e hanno il ciclo completo uovo, larva, pupa, adulto), quello degli afidi. Ciò significa che possiamo “sbirciare” nel genoma di una classe di insetti molto antichi e importanti (negativamente) per l’agricoltura. Cosa è stato scoperto?

Si è scoperto che agli afidi mancano i geni che codificano per i componenti del sistema immunitario, per alcuni enzimi metabolici fondamentali e per una serie di amminoacidi essenziali. Come è possibile che un animale possa sopravvivere senza produrre questi componenti essenziali per il proprio metabolismo? Come è possibile che un animale così cosmopolita e dall’adattabilità così efficiente abbia un genoma con queste mancanze?

La risposta è all’interno dei batteriociti. I batteriociti sono cellule adipose modificate il cui compito è quello di ospitare dei batteri simbionti. Questi batteri simbionti hanno un proprio genoma il quale sopperisce alla mancanza di geni dell’afide. Questa simbiosi estrema ed obbligata permette all’afide di vivere normalmente e di adattarsi molto velocemente ai diversi ambienti e a nuove piante da colonizzare. Gli afidi non sono gli unici animali ad aver incorporato al proprio interno altri microorganismi: i batteriociti sono comuni a molti insetti; la flora batterica intestinale è comune a tutte le specie animali. Ma nel caso degli afidi (e chissà quanti altri organismi il cui genoma non è stato ancora sequenziato!) la simbiosi è estrema. L’afide ha abdicato alla sua autonomia genomica dipendendo completamente da un altro organismo. Questa è una versione moderna dell’inserimento dei mitocondri all’interno delle cellule eucariotiche. I mitocondri sono degli organismi che sono stati inglobati miliardi di anni fa all’interno delle cellule degli organismi eucarioti e provvedono alla produzione dell’energia metabolica delle cellule. Hanno un proprio genoma distinto da quello dell’organismo ospitante e fanno ormai parte integrante di quest’ultimo. Ma rimangono pur sempre delle entità organiche distinte perché la loro riproduzione è distinta da quella dell’organismo ospitante! Altro esempio possiamo trovarlo nel boom di ricerche riguardanti i retrovirus integrati all’interno del nostro genoma. Alcune specie di virus hanno bisogno di entrare all’interno del genoma dell’ospite per potersi riprodurre, ma facendo così spesso si integrano permanentemente nel genoma dell’ospite. Altre volte addirittura trasportano al proprio interno geni di altri individui o specie in modo orizzontale tra un genoma e l’altro. Alla faccia degli ignoranti anti-OGM, noi non siamo altro che la somma genetica di più organismi.

Ma (e qui la cosa si fa più affascinante) la domanda principale è: dove finisce l’identità genetica di un organismo? Esiste veramente un’identità genetica di un organismo? Possiamo circoscriverla?

Qualcuno definì la nascita dei primi organismi pluricellulari come l’aggregazione di diversi organismi unicellulari a formare una colonia. Ed in effetti noi organismi pluricellulari non siamo altro che colonie di cellule della stessa specie che si sono autorganizzate in una macrocolonia complessa.

Nelle foto fatte nel mio giardino: in alto un afide e una formica che si confrontano. Un’altra simbiosi a livello più alto gerarchicamente è quella tra formiche e afidi. Le formiche “mungono” gli afidi e gli afidi ottengono protezione. In basso una colonia di afidi che si nutre delle mie rose! Gli afidi possono diventare un serio problema per l’agricoltura.

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Quando la parodia è 100 volte meglio dell’originale

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Out for blood

Qui di seguito un raccontino (o meglio una bozza molto grezza di un racconto) che ho scritto di getto (30 minuti?) dopo aver letto questa notizia. Buon divertimento.

Il corpo senza vita era riverso sul ventre. Alla sua sinistra il divano, i cuscini fuori posto e macchiati di sangue nero. Alla sua destra una lattina di birra che aveva riversato il proprio contenuto sul pavimento al momento dell’aggressione. Uno strano spettro di colori caratterizzava il confine tra le pozze di sangue rosso e di birra giallo paglierino. Il coroner non potè fare altro che accertare la morte del disgraziato per dissanguamento. Alzò uno dei polsi, tagliato con il coltello da cucina che ancora faceva bella mostra per terra vicino al divano. Per il collo la questione era del tutto diversa: si riconoscevano due o tre tagli fatti col coltello, ma le linee erano interrotte da lacerazioni perpendicolari simili a morsi come se qualcuno avesse voluto raggiungere la giugulare il più in fretta possibile e con una brama bestiale.

“Escludendo l’ipotesi “vampiro” – che è ridicola ma almeno divertirà i giornalisti per i prossimi giorni – possiamo affermare che l’omicida doveva essere un conoscente della vittima. La porta non è stata forzata, non ci sono segni di collutazione, la vittima beveva una birra in tutta tranquillità di fronte alla televisione. L’omicida si è addirittura mosso con disinvoltura fino alla cucina, ha preso un coltello, poi ha sferrato un colpo alla nuca con un oggetto contundente -forse il manico del coltello- e si è messo a fare il macellaio.”

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Il trash non ha mai limite

In realtà non volevo parlare di Sanremo sul mio blog, però dopo una serata con degli amici italiani in cui abbiamo parlato (male) di quello che avevamo visto dall’estero, be’, mi sono ricreduto. Si dice che Sanremo sia lo specchio del paese da 50 anni a questa parte. Ebbene, quello che ne è venuto fuori ieri è sicuramente lo specchio dell’Italia del 2010. Un’Italia non mediocre, peggio, direi trash. Dovete ringraziare le ragazzine iperormonizzate che hanno votato all’ultimo momento il cantante di Amici, perché a quanto pare la canzone di Emanuele Filiberto stava per arrivare prima. Ecco, la canzone di Pupo e di Emanuele Filiberto è l’Italia vera. Noi facciamo finta di non vederla, ma è veramente quella. Rileggetevi il testo della canzone. Fatelo un paio di volte. Poi respirate lentamente e cercate di capire cosa avete letto:

Io credo sempre nel futuro,
nella giustizia e nel lavoro,
nell’equilibrio che ci unisce,
intorno alla nostra famiglia.

Io credo nelle tradizioni,
di un popolo che non si arrende,
e soffro le preoccupazioni,
di chi possiede poco o niente.

Io credo nella mia cultura e nella mia religione,
per questo io non ho paura,
di esprimere la mia opinione.
Io sento battere più forte il mio cuore di un’Italia sola,
che oggi più serenamente si specchia in tutta la sua storia.

Sì stasera sono qui per dire al mondo e a Dio,
Italia amore mio.
Io non mi stancherò di dire al mondo e a Dio,
Italia amore mio.

Ricordo quando ero bambino,
viaggiavo con la fantasia,
chiudevo gli occhi e immaginavo,
di stringerla fra le mie braccia.

Tu non potevi ritornare pur non avendo fatto niente,
ma chi si può paragonare a chi ha sofferto veramente.


Ora, credo che dobbiamo ringraziare Emanuele Filiberto per alcune cose:

1) di averci donato in poche righe un distillato perfetto dello spirito italico.

2) di averci fatto capire una volta per tutte (se ce ne fosse stato bisogno) che i Savoia erano, sono e saranno sempre unfit nel guidare un paese.

3) e che quel giorno quando si scelse la Repubblica fu sicuramente una delle scelte migliori che gli italiani avessero mai fatto.

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Non pensare

“You see, Dr. Stadtler, people don’t want to think. And the deeper they get in to trouble, the less they want to think. But by some sort of instinct, they feel that they ought to and it makes them feel guilty. So they’ll bless and follow anyone who gives them a justification for not thinking. Anyone who makes a virtue – a highly intellectual virtue- out of what they know to be their sin, their weakness and their guilt.”

“Vede, Dr. Stadtler, le persone non vogliono pensare. E più si trovano nei guai, meno vogliono pensare. Ma tramite qualche sorta di istinto, sentono che dovrebbero (farlo) e questo li fa sentire in colpa. Così benediranno e seguiranno chiunque dia loro una giustificazione per non pensare. Chiunque faccia una virtù -una virtù altamente intellettuale- di qualcosa che loro pensano sia il loro peccato, la loro debolezza e il loro senso di colpa.”

The Atlas Shrugged, Ayn Rand

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Una epica battaglia di spade laser a…Bristol

Purtroppo me la sono persa ma dovete sapere che sabato scorso al centro commerciale di Cabot Circus di Bristol più di cento fan di Guerre Stellari si sono riuniti per partecipare alla più grande battaglia a colpi di spade laser della storia. E voi siete ancora fermi a Sanremo. 😀

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Non chiamatela eutanasia

Lo sapevo. Lo sapevo benissimo che sarebbe andata a finire così. Ora tutti parleranno di eutanasia e useranno la storia di Ray Gosling contro la legge sull’eutanasia o sul testamento biologico. Ma quello che ha fatto Gosling col suo compagno (lo ha soffocato con un cuscino) non è suicidio assistito o eutanasia: si chiama omicidio. Ma so già che i depravati torturatori del corpo altrui (leggi Il Foglio e il Vaticano) avranno l’articolo caldo per domani mattina.

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Asse Italia-Libia-Russia

Ciò che rende la faccenda Svizzera-Libia grottesca non è tanto la schizofrenia di Gheddafi, a cui siamo più che abituati, quanto la protezione che il governo Berlusconi dà a questo delinquente, addirittura dando le colpe di tutto alla Svizzera.

AGGIORNAMENTO: ulteriori sviluppi della vicenda. Frattini, ormai diventato ministro degli esteri libico, chiede che la Svizzera abolisca la lista nera contro i libici. Ma dobbiamo capirlo poverino. Gli amichetti imprenditori che hanno fatto gli affari con la Libia non possono più andare in quel paese.

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Hard times

Tempi duri per chi fa ricerca in Europa. Come se la crisi generale e la mancanza di fondi dei governi per la ricerca non fossero bastati, ora anche la ricerca privata sta chiudendo i battenti in Europa. Dopo che la Pfizer ha comprato l’Astra Zeneca e la Wyeth (per quest’ultima si è parlato della più costosa ed importante fusione nel campo farmaceutico) una serie di ristrutturazioni interne hanno cominciato a mietere 8000 posti di lavoro in tutto il mondo. E’ di qualche giorno fa la decisione della Glaxo-Smith Kline (GSK) di chiudere 5 centri di neuroscienze in Europa (tra cui quello di Verona e quello di Harlow-Londra) lasciando a casa 2000 tra ricercatori e tecnici. In realtà la GSK ha un fatturato in crescita esponenziale, ma i costi in Europa sono proibitivi e i centri verranno spostati in Cina. Lì il lavoro costa meno, il governo chiude un occhio e non tassa le grandi industrie. La chiusura di Verona segna un punto di non ritorno per la ricerca privata italiana:  l’unico importante centro di neuroscienze di profilo intenazionale e l’unica piccola valvola di sfogo per il lillupuziano mercato scientifico europeo. Ora ci saranno altri 500 ricercatori italiani che dovranno emigrare all’estero (come se non bastassero le decine di migliaia già all’estero) e più di 10.000 ricercatori al mondo saranno in cerca di lavoro, molti dei quali in Europa. La competizione per i pochi posti liberi sta diventando enorme.

Un consiglio alle giovani leve che si apprestano ad entrare all’Università pensando di fare ricerca: lasciate perdere i vostri sogni e cercate di essere pragmatici, a meno che non sappiate parlare cinese o siate disposti a spostarvi negli USA.

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