Archivi del mese: febbraio 2014

La linea Kiev-Hormuz è stata oltrepassata

Come dicevo già qua a Dicembre (https://fabristol.wordpress.com/2013/12/11/the-geneva-butterfly-effect/) quella che si sta combattendo è una vera e propria Guerra Fredda 2.0 su più fronti tra USA e Russia/Cina. O meglio tra USA e resto del mondo. Nella sua continua sete di conflitto perpetuo (d’altronde la Pax americana può definirsi tale solo quando tutti i paesi del mondo accetteranno la supremazia dell’Aquila) l’America ha oltrepassato quella linea tracciata da Putin per il mutuo rispetto, la Kiev-Hormuz passando per Ossezia e Damasco. Su questa linea Putin aveva chiaramente fatto capire che si giocavano gli equilibri mondiali. Noi da questa parte, voi da quella. Ma niente gli USA con l’aiuto di un fantoccio europeo sempre più accondiscendente stanno spingendo verso Est. Pochi giornali vi stanno facendo notare i fili che legano tutti gli avvenimenti. Si parla di rivoluzione, democrazia, diritti dei gay, dittatori. Sono tutte cazzate. Queste sono le classiche strategie delle democrazie occidentali per preparare l’opinione pubblica a interventi armati. Le democrazie hanno bisogno di scuse, di ragioni nobili per poter attaccare frontalmente e i giornali di regime preparano il terreno. In questo senso Putin ha ragione a parlare di propaganda occidentale in Russia. Basta vedere il caso dei diritti gay per le olimpiadi di Sochi. La comunità LGBT usata, sfruttata senza ritegno dagli USa per i loro sporchi disegni geopolitici. A nessuno importa un cazzo dei gay russi, in molti paesi arabi alleati degli USa li impiccano per dire. Ma quelli non fanno scandalo. Fanno scandalo solo alla vigilia del colpo di stato in Ucraina così che i giornali progressisti potranno dire che “abbiamo attaccato gli interessi della Russia perché maltrattava i gay”. Nessuno vi ha detto che mentre Putin era distratto da Sochi la Merkel sborsava 600 milioni all’opposizione ucraina, quella che assaltava i palazzi del potere con l’aiuto di unità parafasciste. E che dagli USA arrivavano centinaia di milioni di dollari per lo stesso motivo. Buttare giù un presidente regolarmente eletto ma che purtroppo era filorusso. La forza della rivoluzione, i poveri giovani trucidati dal dittatore! Peccato che le rivoluzioni funzionano solo quando sono finanziate da qualcuno. Merkel e Obama hanno sulle coscienze quei morti, burattini per i loro disegni geostrategici. E così dopo più di cento anni le potenze europee tornano in Crimea per togliere dalle mani russe Sebastopoli, il più grande sbocco al Mediterraneo per la flotta russa. Una volta presa l’Ucraina rimangono solo Serbia, Montenegro, Macedonia e Moldavia. E magari ci passa pure la Transnistria. Per poi lamentarci degli immigrati dall’Est che vengono in Europa occidentale a causa dell’ampliamento dell’Unione. Ma alla Germania servono lavoratori a basso costo dall’Ucraina, quindi chi se ne frega se poi salgono al potere i partiti antieuropeisti?

A Obama non è andata giù la vittoria russa a Damasco e quindi punta alla Crimea e al Caucaso quindi. Scommetto tutto quello che volete che da ora in poi aumenteranno gli attacchi terroristici nel Caucaso, indovinate con le armi e con i finanziamenti di chi? Ma a prederci sarà anche la vecchia e stupida Europa perché una volta svegliato l’orso russo, il gas il prossimo inverno ve lo scordate. Pax Americana certo, ma a spese di tutti gli altri.

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Un altro uomo della Provvidenza

Sono in viaggio per l’Italia da qualche giorno e il nuovo governo Renzi è sulla bocca di tutti  quelli che incontro. Ma, con grande mia sorpresa, non nel modo in cui mi aspettavo. Pensavo di trovare italiani stufi del solito governo delle promesse mai mantenute, gente arrabbiata per il fatto che un governo sia stato loro imposto senza andare al voto. E invece tutti quelli con cui ho parlato parlavano di Renzi come una sorta di salvatore della patria, un uomo della provvidenza, con frasi del tipo “speriamo che questa volta vada bene” oppure “aspettiamo e vediamo come va”. Perfino da chi di sinistra non è e perfino da chi non ha votato PD a suo tempo. Alla radio ho sentito una celebrazione di Napolitano come l’unica ancora di salvezza che ancora tiene in piedi l’Italia. Ho avuto i brividi, letteralmente. Gli italiani sarebbero capaci di accettare chiunque gli fosse imposto come già accadde con Mussolini. E all’epoca ci fu sempre un re che accettò e impose un uomo salvatore della patria. Ieri come oggi il re ha un altro nome, ma sempre di monarca si tratta. E sempre di un uomo imposto dall’alto si tratta. E della passiva accettazione della popolazione si tratta di nuovo, come sempre. Il problema non è la strabiliante somiglianza tra i due eventi ma che questo possa accadere di nuovo in futuro con altri protagonisti ben più pericolosi (un Grillo per esempio). Insomma un precedente che possa essere utilizzato come escamotage dalla casta per perpetuare se stessa ad libitum. Quello di Monti fu un colpo di stato orchestrato dalle potenze europee in combutta con Napolitano, quello di Letta una emergenza dettata da questioni di equilibri di poteri interni al parlamento ma quella di Renzi non sta né in cielo né in terra per il modus operandi e per la totale sottomissione di media e cittadini. Renzi non è il problema, né la casta che cerca di sopravvivere: i problemi sono due, Napolitano che in barba ai limiti della sua carica si atteggia a vero e proprio monarca e i cittadini che accettano il tutto come se fosse la cosa più normale. E ve lo dice uno che nella democrazia non ci crede proprio per niente: tutto questo non è normale.

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L’Italia non è un paese per la scienza

indexNell’ultimo periodo credo di aver cambiato molte delle mie convinzioni. Una di queste è sulla necessità dei governi di finanziare la ricerca scientifica. Ovviamente questo è un argomento che mi tocca da vicino: emigrato all’estero per fare ricerca dal lontano 2006 faccio parte di quelle migliaia di ragazzi che vengono collettivamente chiamati “cervelli in fuga”. Non mi piace cervelli in fuga e nemmeno rientro dei cervelli. Siamo quasi tutti di intelligenza media, chi più chi meno e la ricerca è solo una delle tante motivazioni per cui siamo andati all’estero. E la ricerca scientifica è un lavoro come un altro, infatti non ho mai sentito dire che gli operai che lavorano all’estero sono braccia in fuga. Siamo semplicemente lavoratori come tutti gli altri che vanno dove c’è il mercato per la nostra professione. Alla stregua di tutti gli altri lavoratori che si occupano di lavori che non hanno bisogno di essere localizzati ma anzi sono incentivati all’internazionalizzazione compresi calciatori, modelle etc. (palloni in fuga e gambe in fuga?). Ah, i nostri ragazzi sono costretti ad andare all’estero! Non sono costretti, sono loro che hanno scelto una occupazione che non ha mercato in Italia e quindi devono spostarsi dove il mercato c’è. E’ come se in Groenlandia tutti si laureassero in viticoltura e l’opinione pubblica e i governi che si lamentano che i ragazzi sono costretti ad emigrare nel Meditterraneo.

Quello che voglio dire è che la ricerca scientifica è un lavoro che non può essere creato dal nulla in mezzo al deserto e che consiste in una certa mobilità. Non ho mai sentito nessun governo proporre di incentivare la coltivazione della palma da cocco nel Trentino perché altrimenti i coltivatori devono andarsene nell’Oceano Indiano a coltivarla. Né un governo britannico spendere il 10% del suo PIL per coltivare la vite nelle Highlands scozzesi perché altrimenti i viticoltori scozzesi devono espatriare in Italia. Sembrerò un po’ cinico e questi esempi potrebbero sembrare fuori luogo ma ci sono popoli, culture e paesi che non sono fatte per certe cose: geografia, storia, cultura, religione, tradizione, infrastrutture creano differenza tra paese e paese e solo uno stupido potrebbe considerare di spendere miliardi per coltivare la vite con successo in Scozia o in Groenlandia. Così l’Italia per tradizione, storia, religione ecc. non è fatta per la scienza. Gli italiani e la scienza hanno sempre avuto un pessimo rapporto e quei pochi che hanno proseguito la ricerca accademica ad alti livelli lo hanno fatto nei paesi in cui la scienza è considerata come una parte fondamentale della cultura (dove la vite può crescere). Spendere milioni di euro per un centro di ricerca in Molise o nelle montagne del Gennargentu può inorgoglire i pastori locali ma non servirà a niente se la mentalità di quel centro è antiscienza, se il governo regionale è antiscienza, se il vescovo o gli ambientalisti/animalisti di turno sono contro quel specifico tipo di ricerca, se i ricercatori non hanno le basi di scienza. Quel centro diventa una cattedrale nel deserto, un vigneto in Scozia che non produrrà nulla.

Perché i governi devono investire in scienza? Perché devono competere tra di loro con condizioni di partenza (substrati) spesso ineguali? Non vi pare un retaggio del secolo scorso e della guerra fredda questo? La famosa autarchia per cui uno stato deve eccellere in tutto per poter sconfiggere tutti gli altri in una partita infinita di Risiko?

Se la scienza è internazionale e non conosce confini qual è il motivo per cui dobbiamo farla sotto casa nostra? I frutti della ricerca a Londra arrivano da noi comunque sotto forma di prodotti o strumenti o applicazioni.

Le ricadute commerciali direte voi. Sì ma che senso hanno le ricadute commerciali, i brevetti e tutti questi premi quando il mercato è globalizzato e internazionale tanto quanto la scienza? Che senso quando la manifattura è in Cina o India? L’industria manifatturiera o farmaceutica italiana non esiste più perché è delocalizzata in altri paesi, si fonda sull’internazionalizzazione dei propri dipendenti e strutture. Il prodotto della ricerca coreana arriva nelle nostre case con Samsung, LG e Hyundai anche senza che alcun centro di ricerca italiano abbia fatto qualche scoperta che ha portato a quel prodotto. Non siamo più nel pieno della guerra mondiale quando le potenze tenevano le loro ricerche segrete per poi utilizzarle per il dominio globale. Il contesto del 2014 è completamente diverso. Ciò non significa che l’Italia non debba investire in ricerca ma di certo non all’interno del suo territorio. Per esempio collaborando a progetti internazionali come il CERN, ESA, Horizon 2020 ecc. Che senso ha costruire un sincrotrone per paese quando ci si può mettere d’accordo e collaborare per avere un risultato più veloce e migliore? Oppure perché non specializzarsi nella ricerca in uno specifico settore invece di disseminare il continente di migliaia di laboratori tutti uguali (che studiano la stessa cosa) ma con fondi ridicoli?

E non significa neppure che l’Italia debba fare solo cibo, design e calcio (odio questi stereotipi). Esistono sicuramente milioni di altre specialità in cui l’Italia potrebbe eccellere ma non si può di certo imporlo dall’alto costruendo cattedrali nel deserto. Chi vuole fare ricerca scientifica di qualità può spostarsi dove la fanno così come chi in Scozia vuol fare il viticoltore può spostarsi più a sud, chi vuole giocare a cricket può andare in India, chi vuole fare la supermodella può andare a New York ecc.

L’Italia non è un paese per la Scienza. Ma capisco che tutto ciò che ho scritto qui sopra sia pura eresia per chi ancora considera le nazioni dei tabù intoccabili, i confini sacri e la globalizzazione una maledizione. Commenti?

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Quello che non vi hanno mai insegnato al corso d’inglese: i 10 errori più comuni degli italiani

Dopo quasi un decennio all’estero (ebbene sì questo settembre segnerà i 9 anni della mia permanenza all’estero) posso con sicurezza elencare i dieci più comuni errori che gli italiani fanno quando tentano di parlare l’inglese. Se siete appena arrivati su questo blog e non conoscete questa rubrica qui ci sono le altre puntate: https://fabristol.wordpress.com/category/quello-che-non-vi-hanno-mai-insegnato-al-corso-dinglese/

Enjoy!

1) Excuse me/sorry: se una persona cerca di attrarre l’attenzione di un’altra dicendo “Sorry!” state tranquilli che si tratta di un italiano. Giusto l’altro giorno in aereo una ragazza cercava di chiamare l’hostess urlando sorry, sorry, sorry ma è bastato l’aiuto di un inglese con un “excuse me lady, this girl would like to talk to you.” per farla girare. L’italiana era infuriata perché pensava che l’hostess la stesse ignorando ma in realtà quello che stava urlando era “mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace” verso una persona con cui non aveva avuto alcun contatto. Infatti excuse me si usa per attirare l’attenzione e chiedere permesso mentre sorry si usa principalmente per chiedere perdono, scusa. In italiano questa differenza è irrilevante perché usiamo il verbo scusare per indicare due azioni diverse. Per evitare di fare questo errore che agli italiani viene naturale pensate in questi termini: quando siete in strada e volete superare un gruppo di persone e dovete passare in mezzo dite “excuse me”, quando invece pestate un piede a qualcuno dite “sorry”. Excuse me viene prima di un contatto, sorry dopo che il contatto è avvenuto. Se pensate in questi termini sarà più facile ricordarsi della differenza.

2) Per anni ho risposto al telefono dicendo Hello I’m Fabrizio anche con persone che sento tutti i giorni. Un giorno un mio collega mi fa: “Fabrizio ogni volta che rispondi mi dici che ti chiami Fabrizio, ma lo so benissimo!”. Da quel giorno ho capito che esiste una grande, immensa differenza tra I’m X e it’s X al telefono! In italiano siamo abituati a dire Pronto sono X quindi istintivamente in inglese ci viene da dire I’m X. Ma in inglese significa letteralmente “Pronto mi chiamo X.”. Quello che si dovrebbe dire è Hello it’s X, che letteralmente significa Pronto è X che parla. Questa la definisco una ottima figura di m****, di quelle che ti rimarranno per tutta la vita. Ricordatevi le figure di m**** sono il pane quotidiano per un buon apprendimento: pane e m****, così s’impara l’inglese all’estero. Se non fate figuracce non state imparando.

3) Eventually: eventually non significa eventualmente. Mettiamocelo in testa. Eventually è un false friend e significa infine o alla fine (a volte può essere utilizzato in un contesto in cui si vorrebbe dire prima o poi). Eventualmente si dice in case o possibly. Non cadete nel tranello.

4) Before/earlier: altra figura di m**** memorabile in Svezia grazie ad un amico belga (che quel giorno ho odiato ma poi ho ringraziato). In italiano per indicare un avvenimento antecedente a qualcosa utilizziamo “prima”. Ma “prima” viene anche utilizzato per indicare un avvenimento avvenuto nel passato senza specificare “prima” di qualcosa. Nelle altre lingue e specialmente in inglese queste due differenti indicazioni di tempo sono espresse da due parole differenti: quando si vuole indicare un avvenimento antecedente a qualcos’altro si usa before, mentre per qualcosa che è avvenuto indipendentemente da un altro avvenimento earlier. In genere gli italiani usano before in qualsiasi situazione. “I did it before.” “Why didn’t you come before?” ecc. Tornando al mio amico belga un giorno mi chiede: “You italians always say that you do things before, but before what?” Ecco, per evitare di sbagliare fatevi sempre questa domanda: before what?

5) after/later: stesso problema del punto 4. Si dice “I’ll do it later” non “I’ll do it after” (a meno che non si voglia sottindere qualcosa da fare dopo qualche altra cosa). Di nuovo chiedetevi sempre come il mio amico belga: before what and after what?

6) do/make mistake: anche qui il problema risiede nell’italiano che usa lo stesso verbo per indicare più cose. L’inglese differenzia tra il verbo to do, compiere un’azione, e to make, produrre, costruire, fare qualcosa. In genere gli italiani privilegiano to do perché nella maggior parte delle volte è simile al nostro fare ma nel caso di “fare un errore” (è proprio il caso di dirlo!!) non si dice “i did a mistake”. Si dice “I made a mistake”. Gli inglesi non fanno errori, li creano.

7) hair/hairs: errore comunissimo è quello di indicare i capelli come numerabili in inglese. Gli inglesi non dicono “She has beautiful hairs”, ma “she has beautiful hair.”. Nel primo caso avete appena detto che lei ha dei bellissimi peli, quelli sì numerabili (specialmente in certe donne). E’ molto difficile mettersi in testa questa differenza ma io ho trovato un modo per ricordarmelo (no, non penso alla mia testa ormai prossima alla calvizie totale): pensate alla chioma in italiano e tutto torna. “Lei ha una bellissima chioma” si può tradurre facilmente con “She has beautiful hair”.

8) to take shower/photo: Dopo 7 mesi di full immersion di inglese (i miei primi 7 mesi all’estero) ero così entrato nella mentalità inglese che a Siena chiedo ad un gruppo di turisti “Potete prendere una foto di noi?”. Traduzione letterale di “can you take a photo of us?”. Ricordatevi che gli inglesi non “fanno” le foto (to do) ma le prendono (To take). Stessa cosa vale per la doccia che si “prende” non si “fa”. Esatto pure in inglese “to do a shower” o “to do a photo” significa fottersi una doccia o una foto. E non è bello dichiarare davanti a tutti “I need to do a shower!” (Ho bisogno di fottermi una doccia!”).

9) to be hot/cold: classico errore dell’italiano alle prime armi. In UK se si dice che si “ha freddo” (to have cold) significa che si ha un raffreddore e se si “ha caldo” (to have hot) la gente vi chiederà “You got hot what?” Significa che si ha qualcosa addosso di caldo: hot pants, hot trousers ecc. Gli inglesi “sono caldi/freddi” (to be hot/cold). Per farvelo entrare in testa pensate così: sono accaldato, sono ghiacciato e sarà più semplice tradurre I’m hot, I’m cold.

10) People: people è il plurale di person e come tale deve essere seguito da are non is. Questo è molto difficile da ricordare perché gli italiani traducono people con gente, che nonostante indichi una pluralità in italiano è singolare.

Come potete vedere la maggior parte degli errori che gli italiani fanno in inglese derivano dalle stranezze della lingua italiana (per esempio l’uso della stessa parola per indicare cose o azioni diverse). Questo è importante da tenere in mente, invece di stare sempre lì a lamentarsi di quanto sia difficile l’inglese. Spesso il problema è la lingua nativa non quella che si sta imparando. Questi dieci punti ci insegnano anche un’altra cosa che non mi stancherò mai di ripetere (ed è anche il motivo per cui ho iniziato questa rubrica): il metodo di insegnamento dell’inglese nelle scuole italiane è mediocre, inutile e spesso controproducente. Tutti gli italiani che ho incontrato all’estero facevano e alcuni tuttora fanno questi errori. Significa che non importa da quale regione, strato sociale, generazione questi italiani siano venuti. La scuola e gli insegnanti di inglese non si sono mai premurati di dire “Ragazzi, allora stiamo molto attenti a questi tipici errori degli italiani. Ora ve li elenco.”. No, ci si è limitati infatti a far completare quelle stupide e inutili “unit” dei libri d’inglese scritti da inglesi per i corsi internazionali dei college inglesi. Un libro d’inglese per italiani dovrebbe essere scritto da italiani perché solo un italiano può capire e prevenire i tranelli dell’apprendimento dell’inglese su cui i madrelingua italiani possono cadere.

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C’è sempre qualcuno più a nord di te

La parte più triste della vicenda sul referendum svizzero sulle quote all’immigrazione non è la perdita di (futuri) lavoratori per le aziende svizzere, né la perdita in termini di tasse sul lavoro, imposte locali sui servizi e quant’altro per la Svizzera. No, la cosa più triste, ma veramente triste è vedere l’indignazione di ominicchi come Maroni della Lega Nord che chiedono l’intervento del governo per proteggere “i nostri lavoratori”. I leghisti così come tutti i partiti antiimmigrazione sono contro gli immigrati solo quando si tratta degli altri. Quando invece sono quelli della propria tribù a essere discriminati si fanno i paladini del libero movimento dei lavoratori. Come possono queste persone tornare a casa e guardarsi allo specchio e non vedere delle merde travestite da uomini per me è un mistero. In Svizzera ci sono quasi mezzo milione di frontalieri, gente che si alza la mattina prestissimo per far andare avanti le aziende che fanno così ricca la Svizzera. Questo è il mantra di questi giorni dei nazionalisti nostrani. Ma la stessa cosa vale per gli immigrati che vengono in Italia o in qualsiasi altro paese del mondo. Cristo, ho pagato in UK decine di migliaia di sterline tra tasse, e imposte dirette e altrettante in indirette facendomi il culo dalla mattina alla sera mentre i miei soldi andavano a pagare decine di chav che non hanno mai lavorato in vita loro e che magari un giorno voteranno per un partito che potrebbe mandarmi via da questo paese a calci in culo. Il problema non è il razzismo, la xenofobia e quant’altro: il problema è che la gente non sa fare di conto, non ha le basi di matematica. Ogni lavoratore straniero non solo fa lavori che i locali spesso non fanno – o perché sottopagati o perché troppo specializzati – ma paga in tasse dirette e indirette una quanttà immane di denaro che manda avanti la baracca. Recentemente è stato calcolato che l’antiesodo dei rumeni degli ultimi anni varrà per le casse dello stato centinaia di milioni di euro di imposte mancate. Noi immigrati paghiamo non solo le tasse quanto e spesso più dei nativi, ma compriamo cibo, vestiti, servizi, auto e casa. Le vostre case, i vostri servizi, le vostre auto. Vi arricchiamo. E vi dirò di più non vi arricchiamo solo materialmente ma anche culturalmente perché nelle nostre interazioni quotidiane con i locali vi facciamo vedere nuovi modi di vedere il mondo, nuovi modi di affrontare una situazione e esportiamo le vostre idee, la vostra culture, la vostra lingua nelle nostre regioni di origine facendovi pubblicità e arricchendo ancora di più il vostro paese.

Se a qualcosa questo referendum svizzero servirà sarà nell’instillare qualche dubbio nelle menti dei leghisti di turno e a insegnargli che c’è sempre qualcuno più a nord di te che ti considera un immigrato indesiderato.

 

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Lovecraft non abita a Pyongyang- La straordinaria letteratura fantascientifica nordcoreana

new002553-L2_rescaled-152536722Il più grande laboratorio del mondo, ovvero la Corea del Nord (CdN), non manca di stupirmi ogni giorno che passa. La CdN è un posto straordinario per lo studio – loro malgrado – della società umana sotto tutti i punti di vista. Per esempio non posso che rimanere affascinato dalla strada alquanto singolare che la fantascienza nordcoreana ha intrapreso dagli anni 50 fino ad adesso. L’isolamento, l’influenza dei primi autori russi, le ragioni ideologiche di stato hanno creato un genere fantascientifico unico al mondo. Purtroppo non ho accesso ai testi originali ma questo interessante articolo ne descrive le caratteristiche peculiari:

Per prima cosa la fantascienza nordcoreana è superpositivista e vede il futuro in termini di progresso tecnologico e sociale, esattamente come Asimov o i primi autori sovietici. Questo in aperto contrasto con la nostra fantascienza occidentale che negli ultimi 20 anni ha sfornato quasi esclusivamente opere postapocalittiche o con risvolti faustiani dove la tecnologia prende il sopravvento sugli uomini. Ancora più recentemente ci troviamo inondati da malvagie multinazionali che perdono il controllo di virus mortali, di organismi geneticamente modificati, di cloni, di robot ecc. L’uomo perde continuamente il controllo delle proprie creazioni e in generale si ha la sensazione che l’uomo non dovrebbe giocare con la natura. Paradossalmente proprio nel momento in cui l’uomo ha avuto finalmente per la prima volta preso il controllo della natura. In CdN invece sono rimasti agli albori della fantascienza positivista e hard Sci-Fi. In questo senso la letteratura fantascientifica nordcoreana è come una macchina del tempo che ci fa vedere un uomo che non esiste più (e ovviamente uno scrittore e un lettore che non esistono più).

Antropocentrismo. In poche parole la fantascienza nordcoreana è estremamente antropocentrica. Lo stesso Kim Jung Li afferma:

“The Juche Idea implies solving all problems by regarding man as the basic factor. In a capitalist society, everything serves money, not man; capitalists know nothing but money. But in our society man is most highly valued and everything serves man. Man is the master of everything and decides everything. Man conquers nature, and man transforms society. The Juche Idearequires that everything should be made to serve man, to serve the people.” (CW, Vol.27, p.309).

Tant’è che non c’è spazio per gli alieni – tema ubiquitario nella letteratura fantascientifica mondiale. L’uomo è solo di fronte al suo destino ma è totalmente in controllo di questo destino. Lovecraft non è mai arrivato a Pyongyang evidentemente. Motivo? Non esistono prove certe dell’esistenza di creature extraterrestri. Ma uno dei punti fondamentali della fantascienza è proprio quello di creare ipotesi sul futuro, anche quelle più improbabili. Ma allora che tipo di fantascienza ci troviamo a dover descrivere? In effetti la fantascienza nordcoreana non privilegia la scienza e il progresso come fini a se stessi ma come strumenti per descrivere valori cari alla tradizione coreana o al regime. Per esempio la ricerca scientifica è fatta da gruppi di ricerca che lavorano in gruppo e mai dal singolo scienziato-genio. Al contrario, l’individualismo così come l’ambizione personale è spesso fonte di problemi nelle trame. La cooperazione è il valore da esaltare in un contesto di tradizione didascalica tipica del confucianesimo.

Quindi la letteratura fantascientifica nordcoreana non è altro che uno strumento in mano al potere per la propaganda di regime. Sono infatti la norma gli attacchi continui ai nemici del regime come gli Stati Uniti o la Corea del Sud. Tant’è che lo stesso Kim Jong Il in un discorso del 1988 esortò i suoi sudditi a scrivere fantascienza per il regime. Questa passione di regime non deve stupire visto che esistono altri esempi di dittatori appassionati di fantascienza come Gheddafi e Saddam (che scrivevano brevi racconti di fantascienza). In un certo senso un dittatore vive in un sogno poiché proietta la sua rivoluzione verso il futuro, un futuro che egli stesso crea a suo piacimento. Son sicuro però che non abbiano mai trattato di fantascienza distopica a la 1984. Sarebbe stato infatti un altro genere, un’autobiografia.

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