Archivi del mese: ottobre 2013

I just became myself

Quando si è immigrati è sempre la solita solfa: ti guardano, ti squadrano, ti giudicano. E quando non corrispondi al loro stereotipo incominciano a chiederti: “Ma come può un italiano non fare questo?” “Ma tu sei italiano! Dovresti essere così!” “Perché non ti comporti come penso che tu ti debba comportare?” ecc.

Sei caotico, sei imbroglione, sei latin lover, sei cattolico, bevi caffè e vino, ti piace il calcio, voti Berlusconi, ti piace la pasta, sai cucinare, hai i capelli e gli occhi scuri, sei divertente ecc. Non sono gli inglesi il problema, né lo stereotipo italiano. E’ semplicemente questa dannata e innata predisposizione degli esseri umani a catalogare le persone in gruppi e a generalizzre in base a nazionalità, religione e razza.

Nessuno si rende conto che la nazionalità così come la religione o la razza sono semplicemente delle condizioni che ti vengono date alla nascita e che sono frutto del caso. Nel mio caso in particolare la Sardegna sarebbe potuta rimanere spagnola o conquistata dai mori o dalle truppe napoleoniche e ora in universi paralleli sarei dovuto essere fiero di essere spagnolo, magrebino o francese. Ma che senso ha?

Non ho niente contro l’Italia in particolare, né contro il Regno Unito, né contro la Francia o il maghreb. Per me sono semplicemente dei contenitori vuoti senza alcun significato. Le mie passioni sono transnazionali così come i miei pensieri e idee politiche che sono universali e non hanno alcun collegamento con la nazionalità. Sono un uomo di scienza, sono un libero pensatore, sono un libertario e le mie passioni spaziano dalla fantascienza al metal, dall’arte alla letteratura. Tutte queste caratteristiche che mi rendono me stesso hanno forse qualcosa a che vedere col mio passaporto? No. Perché le ho scelte, non mi sono state imposte. Io ho deciso cosa essere, non un caso fortuito che mi ha voluto far nascere in quell’ospedale che in quel momento faceva parte dello stato italiano per una serie di coincidenze storiche. Come si può essere orgogliosi della propria nazionalità se è solo frutto del caso e non di una scelta? Si può essere orgogliosi di essere scienziati o libertari o metallari per fare degli esempi che mi sono cari, ma come si può essere fieri di una nazionalità, di una religione o di una cultura che ci sono state imposte. Mi rifiuto di accettare una condizione che mi è stata imposta. Sarebbe come se una mosca dicesse a se stessa: “Sono orgogliosa di essere una mosca perché sono nata mosca!”.

L’altro giorno parlavo di tutto questo con un collega inglese e credo di averlo tramortito con questa visione della vita (forse mi sono lasciato un po’ andare con un monologo di 10 minuti ma vabbé lui mi ha stuzzicato con le solite domande sulla mia italianità). Ho cercato di spiegargli che una volta che si vive fuori dal proprio paese per tanto tempo si riesce a vedere il mondo in modo diverso, si riesce a vedere se stessi in modo diverso e ci si trasforma in una sorta di chimera che assorbe pezzi dovunque cammini.

“You just become something different.”

“And what did you become?”

Mi fermo e ci penso per alcuni secondi (cosa che mi capita raramente in questo tipo di conversazioni) e dico:

“I just became myself.”

E lì, nonostante la persona di fronte non avesse capito un cazzo dei miei discorsi, mi sono reso conto che quei 10 minuti sono serviti a qualcosa. A rendermi ancora più chiaro quanto sia importante fare tabula rasa di tutto quello che ci è stato imposto e scegliere (ecco la parola magica che mi piace associare a me stesso) ciò che ci pare più giusto, appropriato, vicino ai nostri gusti, moralmente lecito ecc. Uscire dal liquido amniotico delle tradizioni e della massa informe e diventare un individuo.

Abbandonare la propria nazionalità significa riscoprire la propria individualità, significa diventare se stessi.

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Sincretismo linguistico

Dovete sapere che WordPress salva sempre le bozze dei miei post automaticamente. Questo mi permette di potervi mostrare il dietro le quinte della creazione di un post come quello precedente prima che venga “limato” per la pubblicazione. La motivazione principale non è quella di farvi vedere una bozza di un mio testo (non sono così narciso) ma quella di farvi capire quanto la mia mente sia cambiata da quando vivo in UK. Dalla mattina alla sera parlo e scrivo in inglese: a lavoro, con gli amici, su internet, la TV, i film, la musica. Non leggo un libro in italiano da due anni circa. L’immersione nel mondo anglosassone è tale che ho serie difficoltà a parlare delle tematiche della mia professione in italiano (complice il fatto che tutte le parole scientifiche e tecniche ormai originano nel mondo anglosassone) o a scrivere in italiano. Anche quando scrivo i post per i miei blog ho sempre sott’occhio Wordreference.com per tradurre dall’inglese all’italiano alcune parole o espressioni che non riesco più a ricordarmi in italiano. Prova ne è questa bozza che esemplifica alla perfezione ciò che passa per la mia mente ogni giorno. Parti in italiano e parti in inglese, poi con fatica devo tradurre le parti in inglese per la bozza finale (ho evidenziato le parti in inglese in neretto).

“Senza la mela che state per  mangiare non sareste in grado di vedere l’arcobaleno. Esatto, è proprio così. What’s the connection between the two? Il 90% dei mammiferi non vede i colori ma ha una semplice visione in bianco e nero. Motivo? Our ancestors were nocturnal, grandi più o meno come gli odierni topi di campagna, insettivori e approfittatori. I primi mammiferi non avevano nessun motivo di mantenere la visione a colori come i rettili (da cui discendiamo) o gli uccelli (discesi da una branca dei dinosauri). Ma dopo l’estinzione dei dinosauri i mammiferi hanno potuto occupare nicchie diurne, ma ancora una volta la visione a colori non era necessaria. Prova ne è che la maggior parte dei mammiferi odierni vede ancora in bianco e nero. Ma intorno ai 45 milioni di anni fa il clima cambia e foreste tropicali spreadano su buona parte del pianeta. Le piante non riescono più a spargere i semi col vento through the canopy e si inventano qualcosa di geniale dal punto di vista evolutivo: in order to attract the animals they use un involucro commestibile per poi usarli to spread the seeds. La frutta in fin dei conti altro non è che un modo geniale per trasportare i semi e per riprodursi.

Il problema però è che un frutto non maturo contiene un seme non maturo. Quindi attrarre un animale troppo presto could mean an enormous waste of energy. Ecco che le piante allora approfittano della capacità di rettili e uccelli di distinguere i colori inventandosi a colour code, un linguaggio universale che tutti gli animali con la visione a colori comprendono. Green means not ready yet, red ripe. Un colore che possa distinguersi through the forest’s canopy, un colore quindi diverso dal verde come per esempio il rosso o il giallo. I mammiferi sono gli ultimi arrivati nel mondo dei frugivori, visto il loro passato da insettivori notturni. Ed ecco che gli antenati degli odierni primati riacquistano una carattersticia che i loro progenitori avevano perso: la vista a colori. I primati ora possono vivere nella foresta e distinguere i frutti dal background, possono capire quali sono maturi e quali no. I primati ora parlano lo stesso ‘linguaggio cromatico’ dei rettili, degli uccelli e delle piante. Nonostante siano passati milioni di anni e gli Homo sapiens abbiano diversificato la loro alimentazione con una dieta onnivora tuttoggi sono in grado di distinguere i colori. And it’s thanks to a plant that lived milion years ago that…”

***

Tempo fa mi sarei vergognato di tutto questo. Per anni ho combattuto contro questo sincretismo linguistico come se fosse una malattia da debellare. Ma ora dopo anni mi rendo conto che quello che è successo nella mia mente è qualcosa di fantastico, di unico. Ho lentamente “rewired” le connessioni del mio cervello è ho “displaced” frasi e parole che mi erano state imposte dalla mia nazionalità e ho scelto quelle più utili, quelle più facili, quelle perfette per il contesto del momento. Un’amalgama che ha un sapore di singolarità, perché dipende da persona a persona, da esperienza a esperienza e che mi (e come tutti quelli come me) rende quindi unico. Perché dobbiamo essere orgogliosi di avere imparato una nuova tecnologia, un nuovo passo di danza, una nuova canzone e di averli mischiati per creare un qualcosa di nuovo e invece dobbiamo vergognarci di contaminare il nostro linguaggio? Perché dobbiamo forzarci di mantenere una purità linguistica che mai fu pura visto che la lingua evolve continuamente nei secoli e incorpora pezzi e esperienze da altre lingue?

L’altro giorno quando ho letto questa bozza che stavo per cancellare dalla memoria di WordPress mi sono sentito per la prima volta fiero del mio esperanto, del mio yiddish nato dall’emigrazione e dall’amalgama di due culture, quella latina e quella anglosassone. E per la prima volta ho tirato un sospiro di sollievo pensando positivamente ai miei figli che erediteranno questo modo di parlare, che è una ricchezza più che un difetto.

A different language is a different vision of life.” diceva Fellini e la mia lingua infatti ora rispecchia una visione della vita differente.

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